Toliman



 

[Home]

Toliman

 


 

Le ceneri di Toliman

 

 

Dopo quello che era sembrato un lungo, lungo, sonno, sent젣he i suoi occhi si aprivano. Ma non lentamente, quasi di scatto, bruscamente, del tutto spalancati a raccogliere, subito, la pi੣cola stilla di luce. Ma era tutto buio, attorno, di un nero e di una profondit࠳enza fine. Non il pi੣colo fotone veniva a rompere quella cortina impenetrabile. E le stelle, dov⡮o le stelle? Istintivamente, le sue mani cominciarono a tastare dappertutto, senza trovare niente. Ma dove si trovava? Era ancora sulla nave? Non era possibile!

 

Decise che non era il caso di agitarsi. Non era ancora il momento di perdere la calma. Ma, anche se i secondi passavano, i suoi occhi continuavano a non vedere niente. Tutta la sua esperienza passata gli diceva che non poteva esistere, in natura, un buio cos쮠Non in questa parte dellerso, almeno. Ma allora... No, non 蠰ossibile! Le sue mani cominciarono a correre frenetiche da ogni parte, senza riuscire a toccare niente. Non aveva il coraggio, per젤i mettersi a sedere, di portare le braccia in alto. Aveva il terrore di incontrare qualcosa di solido sopra di s鮠Non aveva il coraggio di ammettere la veritࠣhe poteva giustificare quell㣵ritࠡssoluta. E, d촲a parte, di sicuro non poteva avere coscienza di quella mancanza di coscienza.

Una situazione terribile. Un incubo che chiss࠱uante volte era capitato, in quel lungo viaggio. Ma adesso, finalmente, tutto questo stava per finire.

 

Improvvisamente, nel silenzio assoluto della nave, i sensori di bordo della Daedalus cominciarono a crepitare sommessamente, inviando ad Argo, lࠍ centrale di elaborazione, i dati relativi all㴲o percepito appena tolti gli schermi protettivi: sistema doppio, separazione 34,2 UA, componenti di tipo spettrale rispettivamente G3V2  e  K7V3, diametri 1,02 e 0,91 dm, masse 0,99 e 0,81 sm,  temperature superficiali 5900 e 3600 K. 

Finalmente, dopo 30 anni di lungo viaggio, la meta era in vista. Quel sistema doppio era visibile a occhio nudo, dalla Terra, come una stella singola, Alfa Centauri, la terza pi쵭inosa del cielo e la pi橣ina al sistema solare: ma anche un piccolo telescopio la mostrava come una bella doppia, con colori giallo e arancio.

 

La stella era l⩥ttivo della prima missione interstellare promossa dagli abitanti del pianeta Terra. Le agenzie spaziali dell岯pa Unita (in quell௣a la maggiore potenza economica e militare del pianeta), della Confederazione Nordamericana e dellne Orientale avevano fatto proprio, con un investimento mai visto, in termini di risorse materiali e umane, un progetto elaborato quasi un secolo prima da un㣵ra organizzazione britannica per lo studio della navigazione spaziale.

Il progetto Daedalus, cos젳i chiamava, prevedeva la costruzione e lo di una sonda automatica sulla pi橣ina stella che aveva mostrato, sia pure indirettamente, di possedere dei pianeti. La proposta non era perୡi stata presa seriamente, sia perch頩l costo era eccessivo, sia perch頍 osservazioni piᣣurate avevano mostrato che i pianeti non c⡮o.

Analoghe individuazioni di pianeti effettuate con metodi indiretti si erano rivelate in seguito altrettanto illusorie. Molte, ma non tutte. E poi, finalmente, era venuta l௣a degli apparati doppler superraffinati e soprattutto dei telescopi orbitali che erano in grado di vedere direttamente, non solo inferire, con tutte le incertezze del caso, i pianeti, sia pure quelli con certe dimensioni.

E le scoperte si erano moltiplicate. Ma una in particolare aveva sorpreso molti. Si credeva che non potesse esistere sufficiente stabilitࠤinamica attorno ad un sistema binario da consentire la formazione di pianeti e, anche per questo, la ricerca in tal senso nei confronti di Alfa Centauri, la stella pi橣ina e per di pi㯮 una delle componenti pressoch頍 uguale al Sole, non era stata compiuta con l㣵ratezza necessaria. E infatti la scoperta non fu effettuata dai telescopi orbitali, il cui tempo era considerato troppo prezioso per perderlo con un lavoro di dubbia utilitଦnbsp; ma con uno strumento piuttosto modesto, il 20 m dellꢥkistan.

C⡮o quattro pianeti attorno ad Alfa Centauri, o meglio, attorno ad una delle due stelle. Giࠤa molti anni, per comoditଠle due componenti erano state chiamate con i due nomi antichi con cui la stella era conosciuta. La stella di tipo solare era chiamata Rigil Kentaurus, l촲a Toliman. I pianeti, di classe J e U, erano stati trovati attorno a Toliman, e avevano masse comprese fra 10 e 100 em. Sempre troppo, con ogni probabilitଠ per essere adatti ad ospitare la vita ma qualcuno, a poco a poco, si convinse dell䩬itࠤi riesumare il progetto Daedalus, o qualcosa di simile. In fin dei conti, si trattava di un㣡sione troppo ghiotta: pianeti proprio appena fuori della porta di casa; anche se non vi fosse stata anima viva ci si trovava di fronte a una possibilit࠵nica di esplorare da vicino un altro sistema planetario. Senza dire che la vita avrebbe potuto svilupparsi su eventuali lune in orbita attorno ai quattro pianeti.

 

Ci furono polemiche a non finire. La principale obiezione scientifica era che, attendendo solo qualche anno, la tecnologia dei telescopi spaziali avrebbe permesso di scoprire direttamente pianeti anche di classe E e quindi, con una missione un po੹ lunga, sarebbe stato possibile visitare una stella piಯmettente. Su un piano piಯpriamente politico lయsizione veniva a concretizzarsi prevalentemente sullme costo dellॲazione, oltre 300 miliardi di WCU, in presenza di notevoli problemi di sottosviluppo e indigenza in cui ancora si dibatteva il pianeta. Ma, almeno in Europa, un⧯mentazione decisiva per il go alla missione fu che il suo costo era equivalente a quello di un anno soltanto della guerra che vedeva impegnata la federazione contro la Coalizione Centrafricana.

Naturalmente, il veicolo costruito risultऩverso e  molto pi㯦isticato rispetto a quello immaginato nel programma originario. Tuttavia i direttori di missione non poterono fare a meno di complimentarsi idealmente con i progettisti del XX secolo per la lungimiranza di alcune soluzioni proposte.

 

In soli due anni venne costruita, in orbita attorno a Giove, unme astronave a tre stadi di 150 000 tonnellate di massa e pi䩠300 metri di lunghezza. In ciascuno dei tre stadi, sei grandi sfere cave dovevano contenere il propellente, quasi 100 000 tonnellate di deuterio ed elio 3. Delle addestratissime squadre di operatori, installate sul satellite di Giove Europa, provvidero a pompare lme quantitࠤi combustibile, in un tempo record di quattro anni e mezzo, nei giganteschi serbatoi della Daedalus. Nonostante i timori degli spazioecologisti, il gigante gassoso non si accorse neppure di questo salasso, pari a una parte su 20 miliardi di miliardi della sua massa. L쩯 fu immediatamente liquefatto e il deuterio solidificato a una temperatura di 3 K.

Tre mesi dopo la conclusione dello stivaggio, verificati i sistemi di bordo, avvenne il decollo dall⢩ta di parcheggio intorno al Sole. Appena raggiunti i sei milioni di gradi nel motore del primo stadio, la fusione nucleare cominciࡠgenerare il fluido di lavoro che, fuoruscendo dagli scarichi a oltre 10 000 km al secondo, diede inizio al processo di accelerazione vertiginosa della sonda.

Nessun veicolo costruito dallﭯ si era anche solo avvicinato a quelle velocit࠰rodigiose. Dopo due giorni, Daedalus si era giࠬasciata alle spalle il sistema solare. Dopo 20 mesi, al momento del rilascio del primo stadio, si trovava giࠡ 15 giorni luce dal Sole. All㡵rimento del combustibile del secondo stadio, a 38 mesi dal lancio, Daedalus era giࠡ 50 giorni luce. Infine, grazie alla spinta del terzo stadio, a cinque anni dalla partenza, a quattro mesi luce dal Sole, l㴲onave raggiunse la velocitࠤi crociera, pari a un quinto della velocitࠤella luce, quasi il doppio di quella inizialmente prevista dai progettisti del XX secolo. Daedalus si muoveva cio蠡 una velocit࠱00 volte maggiore di quella raggiunta fino a quel momento dai maggiori incrociatori interplanetari, che consentivano pur sempre di andare dalla Terra a Giove in due settimane.

Il controllo della nave era affidato ad Argo, il prodotto pi㯦isticato mai realizzato dalle moderne tecniche di intelligenza artificiale. L㴲ema complessitࠍ del suo cervello neuroide ne faceva lo individuo (chiamare ᣣhineᵥsti congegni si stava rivelando sempre pi䩦ficile, sia dal punto di vista scientifico che etico) in grado di condurre in porto una missione con un㴲onave che impiegava per la sua propulsione tutta lgia necessaria al fabbisogno di un intero pianeta e applicando, per la prima volta, sul campo, le nuove equazioni della Meccanica Unificata.

Nessuna comunicazione a breve termine era consentita, stante la distanza: qualche decennio addietro sembrava che le comunicazioni ultraluce potessero avere un futuro, ma esse non avevano superato il vaglio della nuova teoria gravitazionale: in teoria si potevano produrre radiazioni tachioniche ma nessuno era mai riuscito a costruire dei trasmettitori in grado di utilizzarle. Cos쬠Daedalus doveva essere completamente autosufficiente, con un tutore unico, efficiente e completamente affidabile, Argo appunto,  in cui confluivano competenze incredibilmente avanzate di astronomia, ingegneria, informatica, fisica dello spazio, e  molte altre cose ancora.

Ma neppure Argo sapeva che cosa poteva incontrare. La sua mente neuroide, quindi, oltre a contenere svariati yobibyte di nozioni, doveva essere completamente adattiva e pronta ad imparare.  Sulla Terra, scherzando, qualcuno aveva detto che Argo partiva fresco di laurea e sarebbe arrivato su Alfa Centauri con l㰥rienza di un capo di dipartimento. Il robot sapeva tutto questo, e sapeva anche quanto gli uomini si aspettassero da lui. Nonostante la sua intelligenza superiore, infatti, di gran lunga superiore a quella di qualsiasi essere umano, il suo pi毲te impulso era quello di compiacere i suoi costruttori, obbedendo al complesso codice di comportamento etico impresso nei suoi circuiti.

 

Argo non sapeva per젡lla partenza, che avrebbe anche sognato, durante il viaggio. Evidentemente i programmatori si erano divertiti a modulare una mente che fosse 岡mente㩭ile a quella umana. Ma qualcosa doveva aver funzionato male, pens젰erch蠱uelli non erano sogni, ma incubi terribili. Non poteva pensare, infatti, che qualcuno avesse voluto intenzionalmente imprimere nei suoi circuiti quelle sensazioni spaventose di angoscia opprimente. E poi, andiamo, come pu൮ robot sognare di essere terminato?

 

Ma era questa sensazione angosciosa che lo aveva ridestato, o il crepitio dei dati? E il buio lo aveva solo sognato o era proprio quello che c⡠attorno a lui, nella nave, con le paratie abbassate? E poi, Argo non aveva occhi, n頭ani, n頢raccia, e non poteva mettersi seduto. Meglio non pensarci, non adesso, almeno. Adesso c⡠del lavoro, molto lavoro da fare.

 

Giࠍ in un telescopio terrestre Rigil e Toliman rappresentavano uno spettacolo notevole. Le due stelle erano in quegli anni alla massima distanza reciproca, pieno quella che separava  Plutone dal Sole. Nel momento in cui il telescopio ottico di Daedalus, del diametro di sei metri, era entrato in funzione, la distanza dalla coppia era ancora di due mesi luce e ci sarebbero voluti ancora tre anni, a causa del complesso meccanismo di decelerazione previsto, per raggiungerla. Se sulla nave vi fosse stato un umano, le stelle sarebbero state distintamente separabili a occhio nudo. Con la camera a campo medio del telescopio erano gi࠶isibili i dischi stellari e, molto distintamente, i quattro pianeti.

䲡ordinario튉 pensrgo, appena fu in grado di elaborare i dati del telescopio e degli altri rivelatori. I pianeti formavano un insieme piuttosto simile, quasi una copia in miniatura, ai  quattro pianeti gassosi del Sole. Le masse e le distanze relative dalla stella erano minori, ma le proporzioni risultavano fondamentalmente rispettate.

Intorno a Toliman I e III la camera a campo stretto percepiva un denso sistema di anelli a pi튉 componenti, simile a quello di Saturno, e probabilmente anche gli altri dovevano possedere sistemi simili, anche se pi䥢oli, come del resto tutti e quattro dovevano avere un discreto corteo di satelliti, per il momento ancora non individuabili a causa della distanza.

 

Tutti i pianeti, anche i due pi੣coli, erano gassosi in superficie e lo spettroscopio di bordo indicava l䲯geno come componente principale delle atmosfere. Era un primo grande risultato di planetologia extrasolare comparata diretta, pensrgo: con masse circa dimezzate rispetto a Urano e Nettuno, l䲯geno, in forma gassosa, e probabilmente liquida sotto le nubi, rimaneva il costituente principale di un corpo planetario.

 

Il viaggio di avvicinamento proseguiva inarrestabile. Gli incubi erano cessati, per il semplice motivo che la lunga ibernazione del cervello neuroide era finita. Adesso c⡠solo da elaborare dati e prendere decisioni. Non c⡠pi䥭po per dormire, per sognare.

 

 

 

Ma, ad un mese luce da Toliman avvenne una cosa alla quale neppure il supercervello di Argo era preparato. Forse un robot, per quanto sofisticato, non avrebbe dovuto provare il sentimento dello stupore, ma Argo non avrebbe saputo descrivere altrimenti la sensazione che si faceva strada nei suoi circuiti alla scoperta che nessuno, sulla Terra, avrebbe mai nemmeno lontanamente immaginato potesse avvenire. In realtࠁrgo l沥bbe potuta realizzare molto prima, quella scoperta, se solo avesse pensato di utilizzare il coronografo di cui erano dotate le camere a campo stretto dei telescopi di bordo. Ma evidentemente, nonostante trent di apprendimento solitario, le sue convinzioni di planetologia erano ancora molto vicine a quelle dei suoi programmatori. Il telescopio infrarosso e poi anche quello ottico individuarono un pianeta di classe E, orbitante a sole 0,22 UA di distanza da Toliman in 36,2 giorni. Un pianeta incredibilmente simile alla Terra, non solo per le dimensioni, ma anche per la presenza di una crosta di silicati e di un䭯sfera piuttosto densa, di azoto, argo eﳳigeno!

 

ﮠoltre il 15% di ossigeno libero!⩬evrgo, terribilmente eccitato (lo si sarebbe potuto intuire dal ticchettare continuo dei suoi circuiti); ossigeno libero, prodotto inequivocabile di attivitࠢiologica, su di un corpo che, cos젶icino alla stella madre, per quanto pi䥢ole del Sole, doveva essere raggiunto da almeno il triplo del calore che colpisce la Terra. Su di un pianeta che si trovava probabilmente appena al di fuori della regione nella quale le tremende maree sollevate dalla stella lo avrebbero squassato. Vita, s쬠ma che razza di vita poteva essere, si stava chiedendo Argo, in quelle condizioni proibitive?

 

Ma le sorprese erano appena cominciate: a cinque giorni luce da Toliman Daedalus si imbatt蠩n strane emissioni disposte a raggiera attorno alla stella. הּo, molto strano८s੬ cervello di bordo; nessuna sorgente naturale conosciuta poteva avere una distribuzione simile. Possibile? Possibile che fossero artificiali? La dislocazione era molto simile a quella degli avamposti di comunicazione che costituivano la rete di guardia spaziale del sistema solare. Tuttavia Argo non riceveva comunicazioni intenzionali, ma piuttosto rumore di fondo, continuo e monotono, sulle frequenze delle microonde.

 

Ciononostante l橤enza, per quanto inattesa, si faceva sempre pi㴲ada nei circuiti neuroidi. Tutte le altre spiegazioni cozzavano contro la realt࠭anifesta. Una civiltࠦuori della porta di casa! Non solo intelligente, ma anche tecnologica, non solo tecnologica ma anche comunicativa. E terribilmente intraprendente, visto che era riuscita a dominare un ambiente tanto ostile e a prosperare.

ﭥ abbiamo fatto a non accorgercene?८srgo. 岣h頣ostoro non hanno mai comunicato con la Terra? Volevano starsene nascosti? Comయssibile che non siamo mai riusciti a captare, nemmeno con le parabole dell촩ma generazione, la diffusione spaziale delle loro radio, televisioni, olovisori, iperonde, semmai ne abbiano, o chi sa che diavolo altro?ꉉ

 

Miriadi di domande si affollavano alla mente di Argo: 詠sono questi esseri? Quanto sono intelligenti? Assomiglieranno a qualcuna delle specie intelligenti della Terra? Sicuramente avranno appendici manipolative, altrimenti come avrebbero potuto costruire degli apparati trasmittenti? Ma queste appendici saranno naturali, o artificiali? In essi prevarrࠬ㰥tto organico o intellettivo? Saranno bipedi? Dove avranno il cervello?༯font>

 

Ma soprattutto Argo stava cominciando a provare un vivo senso di inquietudine, che diventࢥn presto un vero assillo: era inesplicabile la loro mancata rilevazione dalla Terra, su cui non riusciva a trovare spiegazioni e che metteva a dura prova le sue capacitࠬogiche.

 

Intanto la nave si stava avvicinando, percorrendo un lunghissimo arco di parabola, al punto nel quale, a un giorno luce, Argo doveva dare l⤩ne del rilascio delle minisonde destinate a esplorare a distanza ravvicinata i vari pianeti. Fortunatamente, era stata prevista una sonda di riserva per ogni evenienza, e questo quinto veicolo, naturalmente, sarebbe stato mandato sul pianeta di classe E.

Ma prima bisognava fare alcune verifiche, per dirigere opportunamente la sonda su un luogo promettente. Stranamente, per젬a camera ad alta risoluzione non mostrava alcun segno di oceani o bacini di qualche tipo. Il pianeta sembrava completamente asciutto. Inoltre il radiometro segnalava una temperatura molto pi᬴a di quella che il pianeta avrebbe dovuto avere, a quella distanza dalla stella madre.

 

Nelle ore successive arrivarono dei segnali sempre pi㣯ncertanti. Lo spettroscopio infrarosso non riusciva a trovare alcuna banda relativa agli altri gas biogenici, oltre all㳩geno, come il metano e il protossido di azoto. Ancora pi㴲ano, non v⡠alcun segno, nelle righe dello spettro, dell㳯rbimento relativo alla clorofilla o a un pigmento simile. Ma che razza di vita era quella? Possibile che le sue basi fossero cos젤iverse dalle nostre? Ma la presenza dell㳩geno allora?

 

Argo cerc࡬lora, tramite il sistema di antenne elettromagnetiche ad alta risoluzione, qualche segno di radio emissioni pulsate a modulazione di ampiezza a banda stretta, ma niente. Il pianeta sembrava deserto. Un deserto disabitato di rocce e sabbie, su cui la camera ad alta risoluzione non riusciva a trovare non solo segnali di manufatti visibili, ma nemmeno il pi੣colo indizio di una geometrizzazione tecnologica.

 

A questo punto, pi㨥 inquieto, il robot di bordo poteva dirsi allarmato. Nonostante tutto, si stava ormai accingendo a predisporre i dettagli dei vari piani di volo, incluso quello della quinta sonda su un punto scelto a caso del pianeta E, quando la risposta al rompicapo che aveva tanto impegnato la sua mente arriv࣯me un terribile colpo di maglio sui suoi circuiti.

 

Se vi fosse stato un umano sul ponte della nave avrebbe giurato di aver sentito un urlo lancinante, o almeno solo in questo modo avrebbe potuto descrivere un suono che sulla Terra nessuno aveva mai udito uscire da un essere artificiale. Il tramestio dei circuiti del neuroide raggiunse un촥zza inusitata, una specie di clangore metallico ripetuto; Argo stava letteralmente gridando allⲯre del riscontro che si materializz೵ll dei ticchettii furiosi dei contatori di isotopi e degli spettrometri di massa: cesio, uranio, torio, stronzio, plutonio! Quanto avrebbe voluto, adesso, il robot, tornare a impegnare la mente con gli incubi del vuoto cosmico piuttosto che fronteggiare quella terribile realtࡼ/font>

 

Tutte le stranezze ritrovate in precedenza si componevano secondo lo schema logico possibile, suggerito dal vecchio Occam.

Ecco perch頧li umani erano ignari di quella civilt࠶icina. Non solo intelligente, tecnologica, comunicativa, manipolativa, ma anche e soprattutto, purtroppo, terribilmente aggressiva, violenta e distruttiva. Quella razza si era distrutta con le proprie mani, e la crosta del pianeta risultava completamente contaminata dalle esplosioni e dai rilasci radioattivi di una tremenda guerra nucleare globale. E tutto ciࣨiaramente doveva essere avvenuto prima che sulla Terra si fosse in grado di ricevere emissioni radio dallo spazio, ossia prima della metࠤel ventesimo secolo.

 

Di fronte a ciࣨe aveva scoperto, il neuroide stava rischiando il collasso dei circuiti. Ma doveva prendere almeno ancora una decisione importante, forse la sola. Bloccଡ spedizione delle mininavi e sent젣he doveva far presto, prima che l榬izione causata dallⲯre e dalla compassione facesse  precipitare i suoi delicati schemi di comportamento etico portando al blocco dei circuiti. Se fosse stato un umano, si sarebbe potuto dire che Argo stava morendo di crepacuore.

 

Ma, con grande sforzo, il robot riusc젡 dispiegare in pochi minuti lme radiotelescopio della nave e a eseguire i calcoli per il corretto puntamento verso Terra. Era passato tanto tempo, ma forse non era troppo tardi. Mai come in quel momento Argo si trovࡠ rimpiangere il mancato successo delle comunicazioni ultraluce: occorrevano ancora pi䩠quattro anni perch頬o sconvolgente messaggio potesse arrivare alle parabole terrestri!

Ma c⡠ancora qualcuno collegato a quelle antenne, intorno al Sole? Non era troppo tardi, anche per la Terra?