LE PLEIADI E LA
LEGGENDA DELL'ATLANTIDE PERDUTA
Il più bell’oggetto del cielo
Le Pleiadi sono senz’altro l'oggetto
più spettacolare e suggestivo del cielo visibile alle nostre
latitudini. La loro caratteristica forma, la loro composizione
insolita, il loro bagliore discreto eppure intrigante, non mancano
di colpire anche chi si avvicina per la prima volta all'astronomia e
addirittura chi rivolge casualmente lo sguardo al cielo invernale.
Capita sovente, infatti, nelle serate osservative pubbliche, di
sentirsi chiedere particolari su quello strano gruppetto di stelle,
da molti identificato, proprio per la sua forma, con l'Orsa Minore.
Il grande astronomo Otto Struve ha
affermato che le Pleiadi sono state l'oggetto più fotografato e
studiato del cielo al di là del sistema solare. Possiamo
tranquillamente affermare che questo primato continua tuttora con le
legioni di astrofotografi che cercano in tutti i modi di catturare,
con ogni tipo di camere e configurazione ottica, la debole
nebulosità che circonda il gruppo.
Il famoso astronomo dilettante
americano Leslie Peltier disse che le Pleiadi costituirono il
ricordo del primo oggetto celeste da lui osservato. Quanti astrofili
in tutto il mondo condividono la sua opinione? Molti, senza dubbio.
Sul mio libretto di appunti delle osservazioni che iniziavo a
compiere, dodicenne, con un rifrattore di 50 mm, scrivevo, in
un'imprecisata notte dell'inverno del 1972: “...non mi ricordo
quando le ho osservate la prima volta, ma da allora le osservo quasi
ogni notte”. Pensare che utilizzavo, all'epoca, un oculare da 12 mm
che mi dava una pupilla d'uscita di solo 1 mm! Eppure l'occhio era
sempre lì, per primo, tutte le notti, e lo è ancora adesso, nelle
lunghe notti autunnali e invernali. Certamente, con il tempo, ho
capito come i migliori strumenti per osservare le Pleiadi siano
telescopi a grande campo e binocoli. Anche in un 7 x 50 il loro
aspetto è affascinante, perfino all'occhio del profano, ma in un 20
x 80 la visione è altamente spettacolare, e col mio attuale 20-30-37
x 100 è da mozzare il fiato.
Fig. 1. Le
Pleiadi fotografate con un astrografo da 420 mm di focale a f/6,5 (foto dell'autore).
Con piccoli telescopi è necessario
utilizzare bassi ingrandimenti, in modo sia da avere l'intero gruppo
nel campo, sia da ottenere una pupilla d'uscita almeno di 5-6 mm. Di
recente, perfino con un 114, usando un oculare da 40 mm (pupilla
d’uscita di 5 mm), ho avuto, con cieli molto scuri, visioni
assolutamente straordinarie. Poiché le nove stelle più brillanti
sono racchiuse in un campo di circa un grado, sarà possibile averle
tutte nell'oculare utilizzando anche telescopi fino a 25 cm di
diametro, con focali fino a due metri, con oculari di focale sui 50
mm. Con strumenti del genere sono visibili nel campo migliaia di
stelle, delle quali però non tutte, forse non più di 500, sono reali
componenti l'ammasso.
Le Pleiadi nelle culture antiche
Fin dall'antichità le Pleiadi hanno
colpito la fantasia popolare. La prima citazione del gruppo è
contenuta in annali cinesi risalenti al 2357 a.C. Esse rivestivano
a quel tempo una notevole importanza, poiché si trovavano, a causa
del movimento precessionale, presso il punto equinoziale di
primavera (3° a nord). Nell'antica Cina erano venerate come Le
sette sorelle dell'operosità, ma in seguito vennero conosciute
come Mao, Mau o Maou, che significa “La Costellazione”
per antonomasia o come Gang, di etimo incerto.
Fig. 2.
Le Pleiadi riprese con il
telescopio Schmidt da 122 cm del Monte Palomar,
in una tricromia realizzata con lastre esposte in luce
rossa, verde e blu fra il 1986 e il 1996 (NASA/ESA/AURA/Caltech).
In Persia dove, come per altre
culture, esse costituivano una delle stazioni lunari più importanti
(divisioni del percorso della Luna in cielo in 27 “case” collocate
in varie costellazioni, a fini calendariali), erano chiamate
Pervis, Peren o Parur. Per i popoli mesopotamici
rappresentavano, insieme con le Iadi, Mas-tab-ba-gal-gal-la,
“I grandi gemelli dell'eclittica” poiché il percorso del Sole è
proprio a metà strada fra i due gruppi. Più in particolare, gli
Assiro-Babilonesi chiamavano le Pleiadi Kimtu, molto simile
al siriano Kima, e all'ebraico Kimah, aventi tutti
pressappoco lo stesso significato di “Grappolo, Gruppo”. Nell'Antico
Egitto le Pleiadi erano note come Chu o Chow e
identificate con la dea Nit (“La navetta”), una delle
maggiori divinità del Basso Egitto, equivalente alla greca Atena e
alla romana Minerva. Un altro nome usato dagli Egizi era Athur-ai
o “Stella di Hathor”, la dea dal corpo di donna e dalla testa di
vacca, singolarmente simile ad Al Thurayya, il termine arabo
con cui l'ammasso veniva designato (“Il gruppo”). Anche gli Arabi
peraltro chiamavano le Pleiadi “La Costellazione” (Al Najm)
per eccellenza, confermando così ulteriormente l'enorme importanza
ad esse attribuita nell'antichità.
Quasi tutte le civiltà e culture,
del resto, hanno coniato dei nomi propri per questo straordinario
oggetto celeste. Gli antichi Teutoni lo chiamavano Seulainer,
i Gaelici Griglean, gli Ungheresi Fiastik, i
Finlandesi Het e wa ne, i Lapponi Niedgierreg, i
Groenlandesi Killukturset (“Cani che lottano contro un
orso”), i Gallesi Y twr tewdws (“Il pacchetto chiuso”), i
Russi e i Polacchi Baba e Baby (“La vecchia moglie” e
“Le vecchie mogli”), i Francesi Cousiniere (“Zanzariera”),
gli Italiani La racchetta, gli Spagnoli Las siete
cabrillas (“Le sette caprette”).
Come è noto, un appellativo comune
presso molti popoli è Le gallinelle oppure La chioccia
con i pulcini; in Italiano, appunto, abbiamo Gallinella o
Gallinelle, in Francese Pulsiniere o Poussiniere,
in Tedesco Gluckhenne (“La chioccia”), in Russo Nasedha
(“La gallina seduta”), in Danese Aften Hoehne, (“La gallina
della vigilia”), in Greco moderno Pouleia (“Pollaio”), in
Inglese Coop (con il medesimo significato del Greco). Perfino
gli aborigeni dell'Africa e del Borneo identificano in questo modo
le Pleiadi.
Per gli indigeni delle Isole Tonga e
della Società, invece, esse erano Matarii (“I piccoli
occhi”), e dividevano in due stagioni l'anno, con il loro apparire,
Matarii i nia e Matarii i raro, che vuol dire “I
piccoli occhi sopra e sotto” (l'orizzonte). Anche per gli abitanti
del gruppo delle Hervey le Pleiadi rappresentavano dei piccoli
occhi (Matariki): secondo loro esse erano anticamente una
stella singola, così brillante che il dio Tane, morso da invidia,
ottenendo il sostegno di Aumea (Aldebaran) e Mere
(Sirio) la scacciò, costringendola a rifugiarsi in un fiume. Ma Mere
prosciugò il corso d'acqua e Tane scagliò Aumea contro il fuggiasco
rompendolo in sei pezzi; da allora le stelle si chiamarono
Tauono, “Le sei”, appunto. Anche alcune tribù del Sudamerica
conoscevano le Pleiadi come Cajupal, “Le sei stelle”. Gli
aborigeni australiani, invece, le vedevano come Le giovani
ragazze che giocavano con i Giovani uomini, rappresentati
dalle stelle della Cintura di Orione. Per gli abitanti delle isole
Salomone erano Togo ni samu (“Compagnia di Vergini”).
Alcuni Pellerossa americani le
chiamavano “Danzatori”, mentre altri vi avevano connesso una storia
suggestiva, ispirata alla Mateo Tepe o Torre del Diavolo, una
curiosissima formazione rocciosa, Monumento Nazionale degli Stati
Uniti, che si erge come un tronco d'albero pietrificato, alto 400
metri, sopra le pianure del Wyoming nordorientale (figg. 3 e 4).
Fig.
3. La Devil’s Tower nelle
Black Hills del Wyoming, primo Monumento Nazionale degli USA (1906),
meta di 400 000 visitatori ogni anno, e resa celebre anche dal film
Incontri ravvicinati
del terzo tipo del 1977.
Secondo i Kiowa e i Cheyenne la Torre fu eretta dal Grande Spirito
per proteggere sette ragazze inseguite da degli orsi giganteschi;
le ragazze furono in seguito poste in cielo e diventarono le
Pleiadi, e le striature verticali sulla torre sarebbero il segno
lasciato dalle unghiate degli orsi.
Fig. 4.
Una rappresentazione della leggenda citata nel testo.
Le Pleiadi sono citate diverse volte
nella Bibbia, particolarmente nel Libro di Amos,
dove (cap.
V, verso 8) troviamo riferimento a:
Lui che fa le Sette Stelle e
Orione...
E nel Libro di Giobbe (XXXVIII,
31):
Puoi tu incatenare la dolce
influenza delle Pleiadi, o perdere i legami di Orione?
Diverse ricerche archeoastronomiche
sembrano dimostrare che molti manufatti ed edifici dell'antichità
erano orientati in direzione del sorgere o del tramontare delle
Pleiadi. Anthony Aveni afferma che l'allineamento più importante
della leggendaria città di Teotihuacan (fig. 5), a nord di Città del
Messico, costruita agli inizi della nostra era, è proprio verso il
punto del loro tramonto. Alcuni templi greci, secondo le ricerche
condotte da F.C. Penrose verso la fine del XIX secolo, il tempio di
Esculapio a Epidauro, il tempio di Capo Sunio, il tempio di Bacco
ad Atene, il Partenone e i templi a questo precedenti nell'Acropoli
di Atene, erano tutti orientati verso il sorgere delle Pleiadi
all'epoca della loro costruzione (dal XVI al V secolo a.C.).
Fig. 5.
Il Viale dei Morti a Teotihuacan, che rappresenta l’asse secondo cui
è orientata l’intera città (foto dell’autore).
Presso molte culture le Pleiadi
rivestivano delle importantissime funzioni di regolazione dei riti,
costumi, usanze della società civile. Molti popoli primitivi
facevano iniziare l'anno con novembre, il “Mese delle Pleiadi”. A
seconda delle varie epoche, nei primi giorni di questo mese o, al
più, negli ultimi di ottobre, avveniva la culminazione del gruppo a
mezzanotte. In tale giorno, gli antichi re di Persia non potevano
respingere alcuna petizione loro presentata; gli aborigeni
australiani eseguivano grandi danze in loro onore; gli Aztechi, per
i quali esse erano l'asterismo più importante (raffigurato anche
sulla celeberrima Piedra del sol e conosciuto come
Tianquiztli, “Le molte”, fig. 6), celebravano la cerimonia del
“Giro del calendario” con la quale aveva inizio il grande anno di 52
anni. Sempre restando in Messico, è probabile che una delle
osservazioni più importanti che venivano fatte dai tubi zenitali che
si trovano nell'edificio P di Monte Alban, nello stato di Oaxaca e a
Xochicalco nello Stato di Morelos fosse proprio il passaggio allo
zenit delle Pleiadi. Facendo i conti per la precessione, si trova
che esso avveniva nei due siti rispettivamente verso il 310 a.C. e
nel 50 d.C. Mentre la prima data è in ottimo accordo con quella
presunta per l'erezione dell'edificio P di Monte Alban (250-275
a.C.), la seconda è sfalsata di circa sette secoli; tuttavia a Xochicalco il tubo zenitale era molto ampio e sicuramente
l'osservazione poteva essere compiuta anche nell'VIII secolo d.C.,
data di fondazione del centro cerimoniale.
Fig. 6.
Nella parte inferiore della Piedra del Sol, che rappresenta la
sintesi della cosmologia azteca, sono raffigurate due volte le
Pleiadi, in forma di sette stelle che circondano le teste
contrapposte di Tonatiuh, dio del giorno, e Tezcatlipoca, dio della
notte (Città del Messico, Museo di Antropologia, foto dell’autore).
L'istante della culminazione
superiore delle Pleiadi a mezzanotte segnava il periodo del culto
dei defunti presso molte culture primitive e in molte religioni come
il Druidismo o lo Zoroastrismo. Nel Medioevo all'istante citato fu
attribuita una sinistra influenza, tanto che esso servì per
stabilire la data del Sabba delle streghe, o Black Sabbath,
la notte in cui si svolgevano orge profane fra gli alti dirupi del
Caucaso o sul monte Brocken in Germania. É possibile che tracce di
questi culti e di queste pratiche siano riscontrabili nelle
attuali feste del 31 ottobre (la All Hallows' Eve, abbreviata
in Hallowe'en, (Vigilia di Ognissanti), del 1° novembre
(Ognissanti) e del 2 novembre (Commemorazione dei Defunti), anche
se attualmente la precessione ha portato in realtà le Pleiadi a
culminare alla mezzanotte del 18 novembre. Secondo W.T. Olcott
queste antiche commemorazioni erano correlate alla celebrazione di
un immane cataclisma occorso in tempi remotissimi e che portò alla
scomparsa di moltissime vite umane. Il riferimento alla leggenda
della mitica Atlantide è quasi obbligato, anche pensando
all'appellativo, le Atlantidi (perché figlie di Atlante) con cui le
Pleiadi sono spesso indicate nella mitologia greca. Ma il pericolo
di questi collegamenti, come si sa, soprattutto in assenza di indizi
seri su cui lavorare, è di far galoppare troppo la fantasia.
Le Pleiadi e i lavori agricoli
Il sorgere eliaco del gruppo (il
primo giorno nel quale è possibile osservarlo prima del crepuscolo
mattutino) era altrettanto importante. Esso veniva osservato dagli
Incas, che chiamavano le Pleiadi Collca. Per la civiltà di
Teotihuacan coincideva con il primo passaggio del Sole allo zenit
della città. Nell'antica Grecia costituiva l'occasione per la
“Festa del lavaggio delle vesti” che veniva celebrata all'inizio
della raccolta del grano, e anche per le elezioni annuali presso gli
Achei. In molti casi, addirittura, l'intero anno veniva scandito
dalle varie posizioni celesti assunte dalle stelle dell'ammasso. Il
medico greco Ippocrate, per esempio, aveva diviso l'anno in quattro
stagioni, ciascuna dominata dalla loro posizione: l'inverno
iniziava quando il loro tramonto coincideva con l'alba; la primavera
iniziava all'equinozio e terminava con il loro sorgere eliaco;
l'estate durava fino al sorgere eliaco di Arturo; l'autunno finiva,
concludendo il ciclo, con il loro tramonto eliaco. Ancor oggi, del
resto, gli Indiani Papago dell'Arizona basano il loro anno su questi
medesimi aspetti, collegati inoltre ai ritmi principali della
tradizione agricola. Il sorgere eliaco del gruppo coincide con la
semina, la culminazione all'alba segna la fine della semina,
superata la culminazione si inizia il raccolto, nella posizione fra
meridiano celeste e orizzonte ovest avviene la caccia al cervo, al
tramonto eliaco ha luogo la festa del raccolto. Le connessioni con
l'agricoltura appaiono chiare anche per molte tribù del Sudafrica,
per le quali le Pleiadi erano le “Stelle dell'aratura”, per gli
abitanti delle isole Salomone e per tutta una serie di popoli
dell'emisfero meridionale per i quali il tramonto eliaco
dell'ammasso coincideva con la ripresa delle attività agricole.
Anche nel mondo classico sono
numerosi i cenni alla funzione regolatrice delle Pleiadi sui tempi
agricoli. Nelle Opere e giorni di Esiodo, ad esempio, si
legge (versi 383-387):
Quando sorgono le figlie di Atlante,
le Pleiadi,
incomincia la mietitura; l'aratura
quando tramontano;
esse infatti quaranta notti e
quaranta giorni
stanno nascoste, poi, volgendosi
l'anno,
appaiono per la prima volta quando
viene l'ora di affilare gli arnesi.
E (v. 614-617):
Poi, dopo che
le Pleiadi e le Iadi e il forte
Orione
sono tramontati, ricordati di arare,
è il momento opportuno, e che l'anno
sia propizio ai tuoi campi.
Nelle Georgiche, Virgilio
mette in guardia il contadino dal seminare il grano prima
dell'epoca del loro tramonto. Nel mondo latino le Pleiadi erano
chiamate Vergiliae o Sidus vergiliarum (“Le stelle
della primavera”), titolo simile a quello usato presso altre
culture, soprattutto orientali, che le chiamavano “Stelle
dell'abbondanza” o “Stelle della stagione dei fiori”,
essenzialmente a causa del fatto che il loro sorgere eliaco
avveniva in maggio, mese della fioritura. A questo proposito
possiamo citare che nelle scritture buddiste si trova un
riferimento, probabilmente collegato alle Pleiadi, quando si dice
che la nascita del sacro bambino fu profetizzata nel periodo
“quando la stella del fiore brilla ad est”: in effetti il Buddha
nacque, nel 563 a.C., a metà maggio, in un giardino, proprio in
coincidenza con la levata eliaca dell'ammasso.
Le Pleiadi e il tempo
Le Pleiadi furono collegate anche al
tempo atmosferico e alla navigazione. Anzi, secondo un'ipotesi il
loro stesso nome è dovuto alla pratica della navigazione, poiché
deriva da plein, “navigare”, appunto (secondo un'altra
ipotesi il nome deriva da pleios, forma epica di pleos,
che significa “molti, molte”, attribuzione, come detto, usata da
parecchi altri popoli). Il sorgere eliaco delle Pleiadi, nella prima
decade di maggio, apriva, in Grecia, il periodo adatto ai viaggi per
mare mentre quando esse cominciavano a tramontare prima che l'alba
tingesse il cielo di chiaro, verso i primi di novembre, la stagione
finiva, come ci ricorda Esiodo (Opere e giorni, v. 618-622):
Ma se della navigazione pericolosa
il desiderio ti prende,
sappi che quando le Pleiadi, la
forza terribile d'Orione
fuggendo, si gettano nel mare
nebbioso,
allora infuriano i soffi di tutte le
specie di venti.
E non è più il tempo d'avere la nave
sul fosco mare,...
Il momento citato veniva
generalmente associato anche all'arrivo dell'inverno, come adombrato
dai seguenti versi di Arato di Soli (Fenomeni e pronostici,
v. 1084-1086):
...un inverno molto burrascoso
porterebbero le Pleiadi
al loro ritorno.
E da Ippocrate che, nel trattato
Sulle epidemie, afferma che, nel periodo in cui le Pleiadi
corrono i cieli interamente nelle ore notturne, si producono spesso
febbri ardenti e molte persone trovano la morte.
Tenendo fede al loro nome, le
Pleiadi erano comunque anche usate direttamente per la navigazione,
sia nell'antichità greca, come dimostrato, ad esempio, dai versi con
i quali Omero descrive la partenza di Ulisse dall'isola di Calipso (Odissea,
V, 269-272):
Lieto del vento, drizzò le vele il
luminoso Odisseo.
Così col timone guidava
sapientemente il cammino,
seduto: mai gli occhi cedevano al
sonno,
fissi alle Pleiadi e a Boote che
tardi tramonta...
sia in diverse altre culture come ad
esempio quella del gruppo delle Hervey prima citato, che le usavano
come riferimento privilegiato nei viaggi notturni fra un'isola e
l'altra.
É stato anche possibile rintracciare
una funzione di indicatore orario di queste stelle. Già nel quinto
secolo a.C. Euripide le cita come orologio notturno. Nelle campagne
del Bellunese gli anziani rammentano un vecchio proverbio, che
sicuramente ha un corrispondente in altre regioni italiane:
Le brave filaresse
de genaro
le va a dormir
co le sette va a punaro.
Che significa: “Le brave filatrici
nel mese di gennaio vanno a dormire quando le Pleiadi (le sette)
tramontano (vanno al pollaio)”. Un facile calcolo mostra che queste
povere ragazze lavoravano fino alle 3 del mattino!
Le Pleiadi nella letteratura
Le Pleiadi sono quasi sicuramente
l'oggetto celeste più citato, dopo il Sole e la Luna, in opere
letterarie. I poemi omerici ed esiodei contengono diverse altre
citazioni, oltre a quelle riportate. Esiodo chiama le Pleiadi anche
le “Sette vergini” o le “Stelle vergini”. Virgilio le chiama le
“Atlantidi del mattino”. Milton “Le sette sorelle atlantiche”,
Chaucer “Le sette figlie atlantiche”. Ma forse la più famosa
citazione delle Pleiadi è quella di Saffo (frammento 14):
Tramontata è la Luna e le Pleiadi:
a mezzo è la notte:
il tempo trascorre;
e io dormo sola.
Nelle opere dei poeti mediorientali
le Pleiadi vengono spesso paragonate a gioielli della volta
celeste. Hafiz di Persia, nel XIV secolo, scrisse a un amico poeta:
Ai tuoi poemi il cielo affisse la
Perla Rosata
delle Pleiadi come segno di
immortalità
Nel XIII secolo leggiamo nel
Gulistan del poeta persiano Sadi:
Era come se il suolo fosse cosparso
di smalto colorato,
e le collane delle Pleiadi
sembravano appese
sopra i rami degli alberi...
La più famosa citazione delle
Pleiadi nella letteratura inglese è quella di Tennyson (Locksley
hall):
Molte notti vidi le Pleiadi,
sorgenti attraverso l'aria serena,
brillare come uno sciame di lucciole
aggrovigliate in una treccia
d'argento.
Nella poesia italiana, piuttosto
nota è la citazione del Pascoli (Il gelsomino notturno):
La Chioccetta per l'aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
Ma le Pleiadi hanno avuto un'altra
singolare influenza nel campo del pensiero, in quanto spesso il loro
nome è stato utilizzato per battezzare vari gruppi letterari,
filosofici, e altro. Ricordiamo soltanto la Pleiade filosofica
del sesto secolo a.C., nota anche come i Sette saggi di Grecia
(Bias, Chilo, Cleobulo, Epimenide, Pittaco, Solone e Talete); la
Pleiade alessandrina, un gruppo di sette poeti tragici del terzo
secolo a.C., con ogni probabilità i più grandi di quel periodo
(Alessandro Etolo, Omero di Bisanzio, Filico di Corcira, Licofrone
di Calcide, Sositeo di Alessandria Troade, Eantide, Sosifane di
Siracusa), la Pleiade letteraria di Carlomagno, di
cui faceva parte lo stesso imperatore; la Pléiade, la scuola
poetica francese del XVI secolo; la Pleiade berlinese, un
gruppo di sette scacchisti tedeschi formatosi fra il 1837 e il
1840.
Inoltre, è noto che Gabriele D’Annunzio
concepì un progetto poetico, le Laudi, realizzato solo in
parte, che prevedeva la produzione di sette libri, uno per ogni
stella delle
Pleiadi.
Le prime tre (Maia,
Elettra,
e
Alcyone)
vennero pubblicate nel
1903.
Il quarto libro (Merope),
apparve nel
1912,
mentre il quinto, Asterope, vide la luce nel 1918.
Le Pleiadi nella “nostra” mitologia
Nella mitologia greca le Pleiadi
erano le figlie di Atlante e Pleione, che le aveva partorite sul
Monte Cillene in Arcadia.
Atlante (fig. 7) era figlio di Giapeto e dell’Oceanina Climene.
Apparteneva alla generazione divina anteriore a quella degli Dei
Olimpici. Partecipò alla lotta dei Giganti contro gli Olimpici. Dopo
la sconfitta, Zeus gli inflisse la punizione di reggere sulle spalle
la volta del Cielo. Secondo una tradizione più tarda, Atlante era un
astronomo che insegnò agli uomini le leggi del cielo, e che per
questo fu divinizzato. Pleione era figlia di Oceano e di Teti. É
talvolta considerata anche madre delle Iadi.
Fig. 7.
Atlante farnese, anonimo, II
sec., marmo bianco, 164 cm, Firenze, Palazzo Strozzi, Mostra
Galileo, immagini dell’universo
dall’antichità al telescopio (foto dell’autore).
Sul conto delle Pleiadi sono state
narrate diverse leggende. Secondo Eschilo, le sorelle sarebbero
state assunte in cielo in seguito al dolore per le sventure del
padre (secondo altri, invece, per la morte del fratello Iante, morso
da un serpente). Secondo Pindaro, Esiodo e altri le Pleiadi, insieme
con la madre Pleione, fuggirono per cinque anni attraverso i campi
della Beozia dinanzi alla bramosia del cacciatore Orione finché gli
dei, trasformatele in colombe (in greco peleiades), ne
immortalarono l'immagine fra le stelle. Com'è noto, questa storia
ha una controparte reale in ciò che avviene realmente, con il gruppo
che precede di poco il sorgere, la culminazione e il tramonto della
costellazione di Orione. Un'altra leggenda identificava nelle
Pleiadi delle colombe che volavano dal padre Zeus a portargli
l'ambrosia proveniente dalla lontana terra dell'Oceano.
I nomi delle sorelle (fig. 8), così
come noti fin dall'antichità, si ritrovano nei Fenomeni di
Arato (v. 261-263):
...e sette vengono quelle chiamate
per nome:
Alcione, Merope, Celeno, Elettra,
Sterope, Taigete e l'augusta Maia.
Fig. 8.
The Pleiades, olio su tela, 61 x 96 cm, Elihu Vedder, 1885 (The
Metropolitan Museum of Art, New York).
La più importante, come già
adombrato dai versi citati, era sicuramente Maia (fig. 9) che,
insieme a Zeus, generò Ermes. Ovidio, nelle Metamorfosi,
cita spesso Mercurio semplicemente con il titolo “figlio di Maia”;
Dante (Par., XXII, 144) usa addirittura il suo appellativo,
da solo, per indicare il pianeta Mercurio. Virgilio, nel luogo delle
Georgiche evocato in precedenza, utilizza il nome di Maia in
rappresentanza dell'intero gruppo stellare. Maia era in effetti la
primogenita e la più bella delle sorelle. A Roma, ai tempi di
Cicerone, che la chiama sanctissima, era adorata come la
Grande e Feconda Madre, Rhea-Cibele, che diede il nome, (tramite il
collegamento, già ricordato, con il levare eliaco del gruppo), al
mese romano majus, il nostro maggio.
Fig. 9.
Bartholomeus Spranger, Vulcano e Maia,
olio su rame, 23 x 18 cm, 1575-1580, Kunsthistorisches Museum,
Vienna.
Sotto il profilo dell'importanza
mitologica dopo Maia viene Elettra che, sempre da Zeus, partorì
Dardano, il fondatore di Troia, Iasione, che amò la dea Demetra, e
Armonia, che andò in sposa al re di Tebe Cadmo, nelle più famose
nozze dell'intera mitologia greca. Ovidio la chiama l'Atlantide, a
rappresentanza dell'intera famiglia.
Poi abbiamo Taigete, la cui bellezza
la rese appetibile agli occhi di Zeus. Artemide la sottrasse
temporaneamente alle brame del dio trasformandola in cerbiatta ma,
finito l'incantesimo, Taigete non poté più resistere, anche se
cedette a Zeus soltanto da svenuta. Dall'unione nacque Lacedemone,
che sposò Sparta. Poiché dall'unione non vennero figli maschi,
Sparta, alla sua morte, trasmise al marito il regno. Il nome di
Sparta andò alla capitale del regno e quello di Lacedemone designò i
suoi abitanti.
Meno importanti appaiono le figure
di Alcione, Celeno e Sterope. Alcione, amata da Posidone, diede alla
luce Urieo, da cui prese il nome la città di Hyria. Celeno, sempre
da Posidone, generò Euripilo, Tritone e Lico; quest'ultimo diede il
nome alla regione della Licia (Turchia sudoccidentale) e al liceo
di Atene. Sterope, fecondata da Ares, partorì Enomao d'Arcadia, re
dell'Elide. Merope, infine, fu l'unica delle sorelle che sposò un
mortale, Sisifo, figlio di Eolo e fondatore di Corinto, a cui generò
Glauco, Ornizione e Sinone.
La luminosità delle Pleiadi
Dal punto di vista astronomico le
cose stanno ben diversamente. Alcione, di magnitudine 2,85, è di
gran lunga la stella più
luminosa del gruppo. É anche l'unica contrassegnata da una lettera
greca del Bayer, la
h
(eta), apposta nell’Ottocento da Baily, che indicò la stella
anche con il n. 25 del catalogo di Flamsteed.
In molte culture Alcione rivestiva
una propria individualità: per i Babilonesi essa rappresentava la
quarta costellazione dell'eclittica, Temennu (“Prima
pietra”); in India era chiamata Amba (“La madre”); per gli
Arabi era Al jauz (“La noce”), Al wasat (“La
centrale”) e Al na'ir (“La brillante”).
La seconda stella più luminosa
dell'ammasso stellare non porta il nome di alcuna delle sorelle: si
tratta di quella che
rappresenta il padre delle Pleiadi, Atlante, che ha magnitudine
3,62. L’assegnazione del
nome, assieme a quella della madre Pleione, la stella appena sopra,
è un'aggiunta recente, e fino all'Almagestum novum di
Riccioli (1651) non se ne trova traccia. Così si esprime Riccioli:
Langrenus osservò, e mi fece
conoscere, l'esatta figura di quelle [Pleiadi], nella quale sono
aggiunte due stelle non nominate da altri, che egli chiama Atlante,
e Pleione; ignoro se siano quelle che Vendelino afferma aver
osservato come nuove, perché ora appaiono, ora scompaiono.
Elettra è la terza stella più
luminosa, avendo magnitudine 3,72.
É contrassegnata con il numero 17
del catalogo di Flamsteed e la lettera b del catalogo di
Bessel.
Maia (n. 20 Fl., let. c Bes.)
ha magnitudine 3,87.
Merope (Fl, 23, B. d) ha magnitudine 4,13.
Taigete (Fl. 19, B. e)
ha magnitudine 4,30.
Pleione (Fl. 28, B. f,
ha magnitudine 5,05v.
Celeno (Fl. 16, B. B. g)
ha magnitudine 5,45.
Sterope, (Fl. 21, B. k) ha
magnitudine 5,76.
Tutte e sette le stelle che recano i
nomi delle sorelle mitologiche e le due che portano i nomi dei
genitori, nove stelle in tutto, rientrano quindi nel limite di
visibilità di un occhio normale, la sesta grandezza. Vi sono anzi
altre due stelle, indicate in fig. 10, al di fuori della tradizionale
forma geometrica dell'ammasso, una a nord est e una a sud ovest, in
posizioni contrapposte, la HD 23753 (magn. 5,44) e la n. 18 di
Flamsteed (5,66) che si trovano sotto questo limite.
Fig. 10.
Cartina compilata dall’autore con le 14 stelle più luminose del
gruppo, che possono essere viste a occhio nudo da osservatori con
viste acutissime (è riportata anche Sterope II, per quanto
visualmente si percepisca una sola stella).
É ben
noto, tuttavia, che molte persone, diremmo anzi, per esperienza
diretta, la maggioranza, riescono a scorgere soltanto sei stelle, a
causa probabilmente dell'abbagliamento prodotto da quelle più
luminose. Del resto, come abbiamo
visto, presso alcuni popoli il
gruppo era conosciuto come “Le sei”.
La Leggenda della Pleiade Perduta
Alcuni, per la verità, guardando
con un po' più di attenzione, riescono a scorgere sette, otto o nove
stelle. Nei tempi antichi, in effetti, si credeva che le stelle
visibili fossero sette, come le sorelle. Eratostene nei
Catasterismi però descriveva la settima Pleiade come invisibile:
Sul taglio del dorso si trovano le Pleiadi che hanno sette stelle,
perciò vengono chiamate anche eptasteros (di
sette stelle). Se ne vedono di fatto solo sei, perché la settima è
molto debole.
E anche in Arato si legge (Fenomeni,
v. 257-258):
Sette tracce gli uomini dicono esse
percorrano lassù
benché soltanto sei siano visibili
agli occhi dei mortali.
E in Ovidio (Fasti, 170):
le Pleiadi, che sono sei, ma si
dicon sette;
Anche Galileo, nel Sidereus
nuncius, pubblicato nel 1610, quando descrive l'ammasso
osservato al telescopio, dichiara:
...ho disegnato le sei Stelle del
Toro, dette Pleiadi (dico sei, in quanto la settima non appare quasi
mai),...
Altri autori dell'antichità, fra cui
Cicerone, avevano ribadito lo stesso concetto.
Così, sembrò che una delle stelle si
fosse estinta, si fosse spenta all'inizio dell'età classica. Le
spiegazioni escogitate per spiegare il fenomeno diedero origine ad
una delle più curiose e più suggestive storie dell'antichità, la
Leggenda della Pleiade Perduta. Secondo una versione, nessuna
stella in particolare era scomparsa, bensì andava perduta di volta
in volta una delle sette colombe che portavano l'ambrosia a Zeus e
che il dio puntualmente rimpiazzava. E Arato scrive (v. 259-260):
Nessuna stella sconosciuta è
scomparsa dalla dimora di Zeus
da tempi immemorabili, ma così si è
sempre raccontato.
Altre versioni della leggenda hanno
identificato di volta in volta la Pleiade Perduta con diverse
componenti. Elettra, ad esempio, che sarebbe scomparsa dal cielo in
seguito al dolore per la distruzione di Troia, la città fondata dal
figlio.
|
Oppure Merope che, vergognandosi di
avere sposato un mortale, un criminale per giunta, condannato nel
Tartaro al famoso supplizio del masso, abbandonò le sorelle nel
cielo notturno e nessuno la vide più (fig. 11). O, ancora, Celeno che, secondo Teone
alessandrino, scomparve perché venne colpita da un fulmine. C'è da
notare che La Leggenda della Pleiade Perduta non è affatto
confinata al mito greco, essendo presente anche nella tradizione
giapponese, in quelle degli aborigeni australiani, degli indigeni
della Costa D'Oro in Africa, dei Daiachi del Borneo.
Fig. 11.
Merope abbandona le Pleiadi: William Adolphe Bouguereau.
L’Etoile Perdue, olio su tela,
196 x 95 cm, 1884, collezione privata.
Come abbiamo accennato, però, il
mito non sembra concordare molto con la realtà dei fatti. Le cose
sono inoltre complicate dal fatto che non si sa con precisione
quando i nomi attuali furono assegnati alle stelle singole, anche
se si può pensare che ciò sia stato fatto non prima dell'epoca di
Riccioli. Consultare le fonti astronomiche classiche per sapere come
gli studiosi antichi vedevano le stelle non è di molto aiuto, anzi
può diventare fuorviante. Secondo Humboldt Ipparco rifiutò
l'affermazione di Arato che solo sei stelle erano visibili a occhio
nudo perché, secondo lui, “ad uno sguardo attento, in una notte
serena e senza luna, sette stelle sono visibili”.
Flammarion, ne
Le stelle e le curiosità del cielo ha svolto una panoramica dei
riferimenti astronomici alle Pleiadi da Tolomeo a Wolf (1874) nel
tentativo di capire se l'aspetto dell'ammasso è cambiato nel corso
dei secoli. L'astronomo francese ha trovato che Tolomeo, as-Sufi (X
sec.), Ulugh Beg (XV sec.) e Copernico citano solo quattro stelle
del gruppo che non corrispondono generalmente alla posizione delle
più brillanti né, addirittura, alla posizione di nessun'altra stella
splendente del campo. Flammarion si stupisce di queste grossolane
imprecisioni e le attribuisce senz'altro a delle variazioni di
splendore avvenute nei tempi antichi. Tuttavia è possibile che
Tolomeo e i suoi successori si siano limitati a segnalare le quattro
stelle più luminose del gruppo, e cioè Alcione, Atlante, Elettra e
Maia, anche se con posizioni approssimate.
Fig. 12.
Rappresentazione delle Iadi e delle Pleiadi (al centro) in una carta
stellare del XVIII secolo della tribù pellerossa degli Skidi Pawnee,
tracciata su una pelle di alce usando pigmenti naturali. Vi sono
rappresentate solo sei stelle.
Certo, è strano. A questo proposito,
cito un esperimento effettuato alcuni anni fa con un corso di
astronomia tenuto a Feltre con l'Associazione Rheticus,
quindi con soggetti, una trentina, assolutamente digiuni di pratica
astronomica: i partecipanti hanno mostrato una buona capacità, a
occhio nudo, di riproduzione dell'aspetto e delle posizioni
reciproche delle stelle all'interno del gruppo; quasi tutti hanno
visto da sei a otto stelle.
Anche Tycho Brahe cita nel suo
catalogo soltanto quattro Pleiadi, dandone però le posizioni
corrette: si tratta di Elettra, Alcione, Atlante e Merope, anche se
per l'ultima c'è un cospicuo (almeno per un abile osservatore come Brahe) errore di posizione. Probabilmente l'astronomo danese
registrò solo quattro stelle perché aveva osservato il gruppo
durante un'occultazione lunare e aveva potuto misurare bene solo la
posizione di quelle. D'altra parte, anche le osservazioni
successive, citate da Flammarion, di Bayer, Riccioli, Hevelius, sono
zeppe di imprecisioni. Bisogna arrivare a Flamsteed (1690) per
trovare un'osservazione delle Pleiadi congruente con l'aspetto reale
dell'ammasso.
Le sei stelle che quasi tutti
scorgono a occhio nudo sono, in ordine di luminosità, Alcione,
Atlante, Elettra, Maia, Merope, Taigete, tutte ben sotto la quinta
grandezza. Sono quelle, per inciso, che Galileo rappresentò come le
più brillanti nel suo disegno sul Sidereus nuncius (fig. 13)
e quelle rappresentate nell'Uranographia di Hevelius (1687,
fig. 14).
Fig. 13.
Disegno delle Pleiadi effettuato da Galileo Galilei nel Sidereus
nuncius
(1610). Le sei stelle più brillanti sono rese con un tratto
doppio.
Se volessimo seguire il mito, dovremmo quindi parlare non
di una, ma di due Pleiadi Perdute, Celeno e Sterope, che la maggior
parte della gente non vede mai. La stessa Pleione è più luminosa di
queste, ma la sua vicinanza ad Atlante (meno di 5') ne compromette
la visibilità. La debolezza di Sterope, d'altra parte, già
nell'antichità, ne aveva fatto un probabile candidato al ruolo di
Pleiade Perduta. Questo nonostante il fatto che la sua luminosità si
sommi a quella della debole compagna vicina, Sterope II, di magn.
6,43, da cui è distante 150”. Quanto a Elettra e Merope, non si
capisce come la loro notevole luminosità abbia potuto ispirare un
loro coinvolgimento nella vicenda. A meno che, nel corso dei secoli,
il loro splendore non sia mutato.
Fig. 14.
Le Pleiadi nell’Uranographia
di Hevelius.
É possibile, da un punto di vista
astronomico, che ciò possa essere successo, se non proprio a loro,
ad altre componenti? É possibile pensare, con Flammarion, che, al di
là della mancanza di precisione delle osservazioni antiche, vi
siano veramente stati numerosi cambiamenti nello splendore delle
stelle delle Pleiadi? Prima di tentare di dare una risposta e di
passare in rassegna le spiegazioni non mitologiche dell'enigma,
conviene conoscere più da vicino le Nostre sotto il profilo
astronomico.
La natura astronomica delle Pleiadi
Le Pleiadi costituiscono un ammasso
stellare aperto, com'è dimostrato dal parallelismo dei loro moti
propri, già scoperto da Bessel nel 1840 (fig. 15). Esse si muovono
verso sud sud est a una velocità di 40 km al secondo, che
corrisponde a uno spostamento apparente di 5,5" per secolo. A questa
velocità occorreranno circa 30 000 anni perché il gruppo si sposti
in cielo di un diametro lunare. Le stelle più brillanti hanno anche
un moto radiale di recessione (misurato spettroscopicamente per
effetto Doppler), di circa 7 km al secondo ma le velocità
individuali non si accordano fra loro molto precisamente a causa
probabilmente dei moti propri interni all'ammasso. Conoscendo sia il
moto radiale che il moto proprio delle stelle di un ammasso, è
possibile, applicando il metodo delle parallassi di gruppo,
conoscerne la distanza. D'altra parte, poiché vi sono nelle Pleiadi
diversi sistemi binari, è anche possibile applicare il metodo delle
parallassi dinamiche. Inoltre sono state eseguite varie
misurazioni dirette di parallasse trigonometrica, sia da terra che
dallo spazio (Hubble Space Telescope), e si dispone
ovviamente di misure dovute alla parallasse spettroscopica. Mediando
tutti questi dati, il valore di distanza più preciso oggi accettato
è quello di 435 anni luce.
Fig. 15.
I moti propri delle principali stelle delle Pleiadi.
Le nove stelle più brillanti sono
giganti biancoazzurre di tipo spettrale compreso fra B6 e B8,
temperatura superficiale fra 12 000 e 14 000 K, temperatura del nucleo da
26 a 30 milioni K, luminosità fra 72 e 1057 volte quella del Sole,
magnitudine assoluta compresa fra 0,13 e -2,78, masse 3-7 volte e
diametri 2,7-8 volte quelli della nostra stella. Esse sono
concentrate in una regione ampia sette anni luce, mentre l'intero
gruppo, con le stelle più esterne, ha un diametro di 12 anni luce.
Queste le
caratteristiche delle nove stelle più luminose:
Alcione è una
stella quintupla. La componente primaria, A, è una binaria ad
eclisse, con separazione fra le componenti di 0,031 secondi d'arco,
che equivale a 600 milioni di km, poco meno della distanza che
intercorre fra il Sole e Giove. La coppia ha magnitudine assoluta
complessiva -2,78 (1057 volte superiore a quella del Sole) ed una
temperatura di 13 000 K; il tipo spettrale è B7 IIIe, la massa è di
sette masse solari, il diametro otto volte quello del Sole. Attorno
alla coppia orbitano Alcione B e C, di diciottesima magnitudine e
separate da 117 e 181 secondi d'arco; a 191 secondi d'arco dalla
primaria c’è Alcione D, di magnitudine 8,7.
Atlante è una
stella tripla. La primaria è una binaria spettroscopica con
componenti di magnitudine 4,1 e 5,6, con un'orbita di periodo pari a
1255 giorni e semiasse di 3,9 UA. La più brillante delle due ha tipo
spettrale B8III, che possiede luminosità assoluta -2,01, 520 volte
quella del Sole, temperatura superficale di 12 300 K, massa cinque
volte il Sole. La terza compagna, Atlante B, ha magnitudine 6,8, si
trova ad una separazione di 0,4 secondi d'arco, pari a 53 UA.
Completa la propria orbita in 150 anni circa.
Elettra ha
magnitudine assoluta -1,91, 474 volte il Sole, tipo spettrale B6III,
temperatura 14 000 K. Ha un diametro pari a 6,2 volte quello del
Sole, e una massa di cinque masse solari. É binaria spettroscopica,
con una compagna di classe A che le orbita attorno con un periodo di
100,46 giorni a una distanza di 0,7 UA.
Maia ha
magnitudine assoluta -1,76, 413 volte il Sole, tipo spettrale B8III,
temperatura di 12 600 K. Il suo diametro vale 7,2 diametri solari.
La massa è circa quattro volte quella del Sole.
Merope ha
magnitudine assoluta -1,5, 325 volte il Sole, tipo spettrale B6IVe,
temperatura di 14 000 K. Il diametro è pari a quattro volte quello
del Sole, la massa è di 4,5 masse solari.
Taigete è una
stella tripla. La primaria è un sistema binario spettroscopico le
cui componenti sono di magnitudine 4,6 e 6,1. La loro separazione è
di 0,012” e il periodo orbitale di 1313 giorni. La coppia ha
magnitudine assoluta complessiva -1,33, 278 volte il Sole, e tipo
spettrale B6IV. La terza compagna è di ottava magnitudine e separata
da 69”.
Pleione ha
magnitudine assoluta media -0,23, 101 volte il Sole, tipo spettrale
B8Vpe, temperatura di 12 000 K. É una stella variabile, con estremi
della curva di luce compresi fra la magnitudine 4,77 e 5,50.
Appartiene al tipo delle Gamma Cas, o “stelle a guscio”, formate da
una stella in rapida rotazione (oltre 300 km al secondo nel caso di
Pleione!) circondate da un involucro, rotante a più basse velocità.
L'alta velocità della stella porta ad eguagliare fra loro
l'accelerazione centrifuga e quella di gravità all'equatore, da dove
si distacca un anello di materia che forma, col tempo, un guscio
intorno all'astro. Ha un diametro pari a 3,3 volte quello del Sole,
mentre la massa vale 3,4 masse solari.
Celeno ha
luminosità assoluta -0,18, 96 volte il Sole), tipo spettrale B7IV.
Il suo diametro vale 2,8 diametri solari.
Sterope ha
magnitudine assoluta 0,13, 72 volte il Sole, tipo spettrale B8V. Ha
un diametro di 2,7 diametri solari.
Stelle giovani
Vi sono molti fatti che portano a
stimare una giovane età, non superiore a un centinaio di milioni di
anni, per le Pleiadi. Innanzitutto il loro diagramma H-R (v. fig.
16): come è noto, è possibile risalire all'età di un ammasso
stellare esaminando la lunghezza della sua sequenza principale.
Sapendo che il tempo di vita di una stella è inversamente
proporzionale al cubo della sua massa, è abbastanza facile,
guardando dove la sequenza appare troncata, avere una stima
approssimativa dell'età dell'ammasso. Ovviamente, le stelle più
massicce (che sono anche le più luminose e calde e perciò occupano
la parte superiore sinistra del diagramma) lasciano molto prima
delle altre la Sequenza Principale che, quindi, in quasi tutti gli
ammassi non giovanissimi appare priva della parte superiore.
Fig. 16.
Diagramma H-R di alcuni ammassi aperti e globulari. In ascissa è
posto l'indice di colore, in ordinata la magnitudine visuale
assoluta. Come spiegato nel testo, le Pleiadi sono fra gli ammassi
più giovani in assoluto, perché la loro sequenza principale è
abbastanza completa. L'età di un ammasso, indicata nell'ordinata di
destra, si può desumere dal punto di turn off, cioè dal punto in cui
si arresta la sequenza principale. Nel caso delle
Pleiadi questo si verifica a un valore intorno ai 30 milioni di
anni.
Come si
vede, il diagramma H-R delle Pleiadi è abbastanza integro e si
tronca in alto, a un valore di magnitudine assoluta visuale di -2,
che corrisponde a un'età di circa 20-30 milioni di anni. La
giustezza di quest'analisi è confermata dal fatto che finora non
sono state trovate giganti rosse all'interno dell'ammasso.
Comunque, stime più recenti hanno suggerito un'età maggiore, sui
60-70 milioni di anni. Uno studio condotto dalle astronome italiane Mazzei e Pigatto, utilizzando un modello evoluzionistico nel quale
la convezione aggiunge idrogeno nel nucleo stellare, permettendo
alle stelle di rimanere più a lungo sulla sequenza principale,
porterebbe l'età delle Pleiadi a 150 milioni di anni: un'età ancora
molto bassa, comunque, su scala astronomica.
Un altro indizio della giovane età
delle Pleiadi è rappresentato dalla notevole presenza, circa un
migliaio, di stelle a brillamento (flare stars). Si tratta
di nane rosse, di magnitudine compresa fra 13,3 e 16,9 e spettri
che vanno da K2 a M3; l'ampiezza dei flare va da 0,8 a 3,7
magnitudini e la durata va da diversi minuti a circa tre ore. Le
stelle a flare fanno parte, assieme alle T Tauri, alle RW Aurigae,
alle UV Ceti, agli oggetti Herbig-Haro, di una medesima classe di
stelle variabili, le variabili eruttive nebulari. Si crede che tutte
queste stelle siano ancora circondate dalla nebulosità dalla quale
si sono formate, siano ancora nel processo di contrazione
gravitazionale e non abbiano ancora raggiunto la stabilità. Secondo Haro le stelle a flare rappresentano uno stadio evolutivo
posteriore a quello delle stelle T Tauri. Ricordiamo qui che le
stelle T Tauri sono stelle variabili, di massa compresa fra 0,2 e 3
masse solari e assai giovani, diciamo fra centomila e un milione di
anni, come testimoniato dalla loro associazione con nubi molecolari
dense e ricche di polveri, dal loro eccesso infrarosso, nonché dalla
loro collocazione nel diagramma H-R sopra la Sequenza Principale.
Questa ipotesi è corroborata dal fatto che nella zona di Orione
sono presenti variabili a flare che sono allo stesso tempo T Tauri
evolute e stelle a flare del tipo di quelle nelle Pleiadi. Non si
sa quasi nulla delle cause della variabilità di queste stelle se non
che, ovviamente, devono essere collegate alla loro instabilità e
alla giovane età.
Un ultimo indizio, solitamente
citato a favore della nascita recente dell'ammasso, è rappresentato
dalla presenza nella zona di materiale nebulare, diffuso soprattutto
attorno a Merope e Maia e scoperto già visualmente da Tempel nel
1859, a Venezia, con un rifrattore da 10 cm e che si pensava
costituire il residuo della matrice gassosa da cui le stelle ebbero
origine. Già Slipher, nel 1912, scoprì che lo spettro della
nebulosità è lo stesso delle Pleiadi, un fatto che dimostra che la
luce delle stelle è diffusa da parte del pulviscolo presente nella
regione. I grani di polvere hanno forma allungata e dimensioni di
circa 10 micron. La parte più luminosa della nube avvolge Merope e
si estende per circa 20' a sud. Ancora nell’Ottocento fu osservata
da Backhouse e Swift, dal secondo addirittura con un rifrattore da 5
cm (a 25 ingrandimenti). Più o meno nello stesso periodo, però, S.W.
Burnham non riuscì a vederla con un rifrattore di 45 cm e quindi
per qualche tempo si pensò che il suo splendore fosse variabile. Di
sicuro, però, dal tempo della sua prima fotografia, effettuata dai
fratelli Henry a Parigi nel 1885, nessun cambiamento avvenne e la
foto ripresa da Roberts alcuni anni dopo la mostra nella sua attuale
forma.
Già nel 1894, grazie a una lastra
ripresa da H.C. Wilson con 4 ore di posa con un telescopio da 20 cm,
ci si accorse che la nebulosità avvolgeva in realtà tutto il
gruppo, anche se è più densa, come detto, attorno a Merope, dove ha
un diametro di circa 2 x 3 anni luce (è anche stata classificata
come IC 349). Assolutamente spettacolare risulta la ripresa
effettuata nel 1905 da E.E. Barnard con la camera Bruce di 25 cm di
M. Wilson e pubblicata nell'Astrophysical Journal nel 1928
(fig. 17).
Fig. 17.
Fotografia delle Pleiadi ripresa da E. E. Barnard nel 1905 da Monte
Wilson con la Bruce Camera da 10 pollici e 3 ore e 45 minuti di
esposizione (dall'Astrophysical
Journal).
Quest'immagine non solo rivela l'enorme estensione dell'intera
nebulosa a riflessione delle Pleiadi, ma mostra anche un
particolare, la lacuna in basso a sinistra, evidenziata in
un'immagine del satellite infrarosso IRAS ripresa nel 1983 (fig. 18). La
parte della nebulosa corrispondente grossomodo a quella della foto
di Barnard è in colore più chiaro ma essa, come si vede, è a sua
volta parte di una struttura ancora più grande, che copre un campo
di quasi 9° x 6°. La lacuna citata è a sinistra, di colore blu-nero.
In un primo momento, nel corso del 1988, si pensò, al Jet Propulsion
Laboratory, che essa rappresentasse il vuoto provocato dagli
impetuosi venti stellari che soffiano dalle calde, giovani Pleiadi
in formazione.
Fig. 18.
Immagine in falsi colori della regione delle Pleiadi
ripresa nel 1983 da IRAS. La lacuna a
sinistra indica il vuoto lasciato dalla progressione delle stelle
nel mezzo interstellare, che viene “rotto” e si distribuisce tutto
attorno all'ammasso come fa una nave con le acque in mare aperto
(JPL).
Ma nel gennaio 1992 a un meeting dell'American Astronomical Society ad Atlanta, venne un annuncio che sconvolse non
poco le opinioni correnti sulla nebulosa delle Pleiadi. R.E. White
e J. Bally, analizzando ulteriormente i dati di IRAS, giunsero alla
conclusione che il gas osservato non ha nulla a che fare con
l'ammasso, ma che si tratta di materiale interstellare che viene
attraversato in questo momento dalle stelle. Essi furono confortati
in quest'opinione anche dal fatto che già dagli anni Quaranta le
misurazioni delle velocità relative del gas e delle stelle non
concordavano. Secondo i due ricercatori, la lacuna visibile
nell'immagine di IRAS che, a una più approfondita immagine, ha la
forma di una goccia, è in realtà un'onda d'urto di prua causata nel
mezzo interstellare dall'avanzamento delle stelle, come quelle
prodotte da un aereo supersonico o da una nave che solca le acque
dell'oceano.
È oggi banale, con camere digitali e
CCD, registrare, anche in modo stupendo (v. fig. 19) questa
nebulosità. Ma la vera sfida è ovviamente quella visuale. Molti
hanno visto la nube che circonda Merope anche con piccoli strumenti,
ma pochi hanno potuto percepire anche la struttura che circonda le
altre stelle.
Fig. 19.
Le Pleiadi riprese nel 2004 da Bill Patterson, California, usando un
rifrattore apocromatico Takahashi da 106 mm f/5 e CCD SBIG STL
11000. Pose in LRGB da 60, 30, 20 e 30 secondi e posa di 10 minuti
in luminanza.
Curiosamente, alcuni hanno riportato l'impressione che
la nebulosa si veda meglio in strumenti piccoli che grandi; il
tedesco D'Arrest, addirittura, nell’Ottocento faceva rilevare che
essa non si vedeva con grandi telescopi mentre era visibile con i
loro cercatori! Per percepirla più facilmente, è opportuno usare
bassi ingrandimenti, porre la stella, o le stelle, più luminose,
fuori del campo, se lo strumento lo consente, e far uso della
visione distolta. Naturalmente, al giorno d'oggi, nel momento in
cui la piaga dell’inquinamento luminoso sta per ammorbare la quasi
totalità dei nostri cieli, è necessario osservare almeno da 2000 m
di quota e ben lontani dalle luci. Durante il campo estivo UAI 1990
alla Tofana, a 3200 m, alcuni di noi riuscirono a percepire la
nebulosità con un binocolo 20 x 80. Un'osservazione eccezionale fu
compiuta alcuni anni prima da S. Knight, un esperto variabilista
statunitense. Usando un binocolo 12 x 50 e un riflettore da 15 cm,
riuscì a vedere un anello scuro e irregolare intorno alla
nebulosità, circondato a sua volta da materiale luminoso. In altre
parole, vide la struttura che appare nelle fotografie di Barnard e
di IRAS di cui sopra.
Verso la spiegazione del mistero
É possibile, da quanto detto finora,
trarre qualche utile riferimento per la soluzione del nostro
mistero? Potrebbe la giovane età del gruppo suggerire qualche
meccanismo alla base dell'inquietante sparizione, sempre ammesso
che essa si sia verificata realmente? È probabile infatti, come per
altre registrazioni del passato (si pensi solo al colore arancione
di Sirio citato da Tolomeo) che la leggenda non abbia alcun
fondamento reale e che si appoggi semplicemente su osservazioni
degli antichi poco accurate. Alcuni hanno anche avanzato spiegazioni
prosaiche: gli astronomi babilonesi avrebbero legato al gruppo il
numero 7, simbolo della perfezione e della completezza, senza badare
all'esatto numero delle componenti e come tale esso è stato
ereditato dai Greci, che persero l'esatta nozione della sua origine.
Altri hanno sostenuto che nei cieli della Mesopotamia, più tersi, si
vedessero sette stelle mentre i Greci, meno favoriti dalla
limpidezza del firmamento, riuscissero a scorgerne solo sei,
inventando la storia della stella mancante.
Il primo ad avanzare una spiegazione
in qualche modo astrofisica fu Riccioli, nel XVII secolo. Egli
propose che la sorella perduta fosse una nova apparsa prima
che il numero delle stelle dell'ammasso fosse registrato dagli
osservatori e scomparsa intorno alla data della guerra di Troia. Ciò
ne potrebbe consentire l'identificazione con Elettra, anche se non
si comprende perché esista ancora una stella con questo nome. Ma, al
di là di questo, l'ipotesi non regge proprio alla luce di quanto in
precedenza esposto. Secondo le vedute correnti, infatti, le nove si
producono in sistemi binari nei quali una delle due stelle è una
nana bianca, un prodotto dell'evoluzione stellare di stelle di
piccola massa e longeve, molto più longeve dell'età del gruppo.
Inoltre, a meno che non si sia trattato di una nova classica (in
questo caso però l'aumento di luminosità, vista la distanza, sarebbe
stato colossale e tale da prevalere sulla luminosità delle
compagne) la stella apparsa avrebbe dovuto rientrare nelle categorie
delle nove nane o delle nove ricorrenti. In entrambi i casi,
avremmo dovuto assistere a degli altri aumenti di luminosità,
almeno a intervalli di 100 anni.
Un'altra ipotesi è quella avanzata
da W. H. Smyth nel XIX secolo. L'astronomo inglese sosteneva che la
presenza di una variabile a lungo periodo nell'ammasso avrebbe
potuto spiegare l'apparente contraddizione del numero delle stelle
citato da diversi autori. Ma non esiste, purtroppo, una tale
variabile nelle Pleiadi. Le uniche stelle che mutano di splendore,
le già citate flare, sono troppo deboli per essere di qualche
interesse e i loro periodi sono troppo brevi. D'altra parte, la
giovane età del gruppo può suggerire che anche qualcuna delle stelle
più brillanti stia ancora ultimando il processo di contrazione
gravitazionale e possa quindi andare soggetta a delle variazioni
cospicue di splendore. Tuttavia, è impossibile che stelle di 3-8
masse solari di almeno qualche decina di milioni di anni di età
siano ancora in tale fase, poiché la teoria ci dice che per loro la
fase di Hayashi dura al massimo non più di qualche decina di
migliaia di anni.
Eureka?
Esiste tuttavia una stella nelle
Pleiadi, la già citata Pleione, che è una variabile irregolare,
fluttuante all'incirca fra la magnitudine 4,8 e 5,5. Secondo E.C.
Pickering, poiché Pleione presentava uno spettro simile a quello
delle stelle P Cygni, essa avrebbe potuto sperimentare nel passato
un forte aumento di splendore, poi venuto meno: secondo R. H. Allen
(che scrive però nel 1899) questa poteva essere la soluzione più
probabile dell'intera questione e, paradossalmente, si dovrebbe
parlare non di una sorella perduta, ma della madre. In realtà,
però, Pleione, come ha dimostrato la ricerca moderna, non è una P
Cygni, bensì una stella a guscio o shell star, formata da
una stella in rapida rotazione (oltre 300 km al secondo!)
circondata da un involucro, rotante a più basse velocità. L'alta
velocità della stella porta ad eguagliare fra loro l'accelerazione
centrifuga e quella di gravità all'equatore, da dove si distacca un
anello di materia che forma, col tempo, un guscio intorno all'astro.
L'osservazione spettroscopica condotta nei decenni scorsi ha
confermato questo quadro. Nel 1888 furono notate per la prima volta
righe di idrogeno in emissione provenienti dal guscio in
espansione, insieme a un calo di luminosità della stella, iniziato
probabilmente intorno al 1883. Le righe scomparvero nel 1903,
evidentemente in seguito alla rarefazione del guscio, ormai molto
lontano dalla superficie dell'astro e la luminosità aumentò,
rimanendo stabile fino al 1936. In quell'anno le righe riapparvero,
e vi fu un decremento cospicuo, circa mezza magnitudine, a partire
dal 1937, della luminosità di Pleione, che portò alla scoperta
ufficiale della sua variabilità; le righe scomparvero di nuovo
intorno al 1951, mentre la caduta di luce durò fino al 1958. Nel
1972 iniziò una nuova fase di shell, che portò a una diminuzione di
luminosità con il minimo raggiunto nel 1981. In seguito la stella ne
uscì e la sua luminosità risalì al massimo all’inizio degli anni
Novanta. Nel 2005 Pleione ha iniziato un nuovo ciclo di shell, che
l’ha già portata a diminuire la sua luminosità fino alla magnitudine
5,35 nel 2007.
Da quanto detto, è evidente che la
stella è più debole all'inizio della fase di shell, poiché la luce è
intercettata dal gas circostante mentre, dopo alcuni anni, quando
il gas si è rarefatto attorno alla stella, la luminosità aumenta.
Certamente, comunque, l'intervallo di variazione non sembra apparire
sufficiente ad alimentare la leggenda: anche al massimo di
luminosità, infatti, come già ricordato, a causa della vicinanza ad
Atlante, Pleione non è normalmente visibile. Inoltre, come già
ricordato da Allen, chi è in grado di vedere Pleione, anche al
massimo, riesce a scorgere anche Celeno e Sterope, l'ho attestato
personalmente con diversi soggetti frequentanti corsi di astronomia
tenuti in varie località.
Primati della visione
Poiché tutte e tre queste stelle
sono ben dentro la soglia di visibilità a occhio nudo, ci si può
stupire della difficoltà della loro percezione. Ma, come già detto,
un ruolo notevole è svolto dalla vicinanza e dall'abbagliamento
prodotto dalle compagne. É noto comunque che già il maestro di
Keplero, Michael Maestlin, nel 1579, ne scorse ad occhio nudo ben
14, tracciando una piccola carta dell'ammasso dove 11 stelle, come
si vide dopo l'invenzione del telescopio, erano correttamente
posizionate. Nell’Ottocento miss Airy ne vide 12, Dawes 13,
Carrington e Denning ne contarono 14, von Littrow 16. Nel Novecento
si è arrivati a 18, con Walter Scott Houston, nel 1935, e poi
addirittura a 24, con Michael E. Sweetman che nel 1991 effettuò
l'osservazione dall'estrema periferia di Tucson in una notte di
eccellente trasparenza e seeing. Nel suo disegno però risulta dubbio
il riconoscimento di quattro stelle.
Attualmente, dalla pianura, con i
cieli resi tragicamente brillanti dall'inquinamento luminoso, è
spesso possibile cogliere soltanto la presenza dell'ammasso (che,
ricordiamo, ha magnitudine totale 1,38). Per inciso, le Pleiadi sono
state utilizzate come banco di prova dagli astrofili giapponesi,
americani e italiani per valutare le condizioni di trasparenza del
cielo nelle varie località.
Comunque, salendo in quota, è ancora
possibile far bene: dai cieli della Tofana alcuni dei partecipanti
al campo astronomico UAI del 1990 videro fino a 13-14 Pleiadi. Sono,
al di là delle 11 citate, la HD 23923, di m 6,17, la n. 26 di
Flamsteed, di m 6,47, la HD 23873, di m 6,62 (v. fig. 10).
Vogliamo anche ricordare brevemente
la storia del conteggio con strumenti ottici, che inizia nel 1610
con la già ricordata osservazione di Galileo, che vide più di 40
stelle, anche se segnò la posizione di sole 36. Hooke ne contò 78
nel 1664, con un rifrattore da 5 cm. Swift, nell’Ottocento, ne vide
300 con un 11 cm e 600 con un 40. Wolf, nel 1876, ne catalogò 625
fino alla magnitudine 14 in uno spazio di 90' x 135'.
Fotograficamente già nel 1887 i fratelli Henry registrarono più di
2300 immagini stellari, fino alla magnitudine 16. Pensare che oggi
con 15 secondi di posa con un CCD e uno strumento amatoriale si può
arrivare a, e anche superare, questa performance, dà le vertigini.
Concludendo la nostra storia,
possiamo dire che, se il Mito della Pleiade Perduta ha un fondamento
nella realtà, Pleione è la migliore candidata, non tanto per la
sua variabilità attuale, quanto perché è effettivamente possibile
che tre o quattromila anni fa una stella così instabile potesse
essere una mezza magnitudine più brillante.
D'altra parte, la soluzione
all'enigma potrebbe essere molto più semplice e cioè che la leggenda
sia stata inventata proprio a causa della difficoltà nella
percezione delle stelle e del diverso numero che differenti
osservatori riuscivano a contare. Ma, anche se fosse così, poco
male, poiché, in fin dei conti, ci siamo dati la possibilità di
parlare dell'oggetto sicuramente più affascinante del cielo. Un
oggetto che, per fortuna, rimane ancora avvolto, almeno in parte,
nel mistero.
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