Quarant’anni fa, la
Luna!
Un sogno durato duemila
anni
Nella notte fra il 20 e il 21 luglio
1969, alle 4:56 ora italiana, quando i piedi di Neil Armstrong si
posavano sulla soffice superficie lunare, si realizzava finalmente
un sogno che l'uomo aveva accarezzato e alimentato per millenni:
andare sulla Luna, passeggiare su quell'astro che da tempo
immemorabile illumina le nostre notti, così apparentemente vicino
eppure così irraggiungibile, soprattutto da quando, nel II sec. a.C.,
Ipparco riuscì a misurarne con una certa accuratezza la distanza
dalla Terra (30-34 diametri terrestri, pari a 380-430.000 Km).
Il fascino che la Luna ha da sempre
esercitato sull'uomo e che qualsiasi astrofilo o appassionato del
cielo avverte prepotentemente, non è difficile da spiegare: la sua
estrema vicinanza, la grande luminosità, seconda solo a quella
solare, i mutevoli aspetti del suo volto, che si rinnovano con
assoluta regolarità, le misteriose macchie visibili a occhio nudo
sulla sua superficie (fig. 1), tutto questo ha sempre fatto guardare
alla Luna, fin dalla notte dei tempi, come ad una entità misteriosa
ed influente sui destini umani, come una compagna muta
ma partecipe alle vicende terrestri, come una dea dagli umori spesso
variabili e con caratteristiche di volta in volta associate a vari
aspetti della natura umana, in particolare femminile.

Fig. 1.
La Luna disegnata a occhio nudo da Leonardo Da Vinci nel
Codice Atlantico. Pastello in bianco
e nero, 13 x 6 cm, 1513-1514 (da Bianucci. La Luna).
Così, ad esempio, per i Greci la Luna
aveva una triplice personalità: Selene, dea dell'amore
fecondo, era rappresentata con la Luna piena, gravida (fig. 2); Ecate,
regina dell'oltretomba, era associata alla Luna nuova e «oscura»; Artemide, infine,
dea della caccia, con il suo arco
d'argento simboleggiava la falce lunare crescente (fig. 3).
Nonostante quest'aura di mistero e
adorazione, l'uomo ha pensato di raggiungere la Luna prima di quanto
non si creda e soprattutto molto prima che fossero disponibili i mezzi
più adeguati non solo ad uscire dall'atmosfera terrestre, ma persino a
staccarsi dal suolo; in altri termini, a volare.

Fig. 2.
Statua di Artemide efesia, simbolo di fecondità, con le sue numerose
mammelle, il cui culto era praticato nell’Artemision
di Efeso,
una delle sette meraviglie del mondo antico. Alabastro, bronzo,
117-138 d.C., Museo Archeologico Nazionale, Napoli, per gentile
concessione, foto dell’autore.

Fig. 3.
Statua romana di Artemide, con arco e falce lunare sul capo. Marmo,
prob. II sec. d.C., Roma, Musei Vaticani, per gentile concessione,
foto dell’autore.
Non a caso il primo
viaggio verso la Luna nella finzione letteraria utilizza lo stesso
mezzo che, sempre nella fantasia, venne usato da Dedalo ed Icaro:
delle ali di uccello. Si tratta dell'Icaromenippo, un dialogo
scritto da Luciano di Samosata, celebre scrittore satirico di epoca
alessandrina (II sec. d.C.). In un'altra opera, una specie di
romanzo, la Vera storia, Luciano descrive un altro viaggio
sulla Luna effettuato, questa volta, per mezzo di un turbine marino.
L'intento dello scrittore siriaco non è certo scientifico: egli
utilizza questi viaggi come meri espedienti letterari per poter
satireggiare su usi e costumi terrestri parlando, per così dire,
«dall'esterno». Tuttavia, nelle storie, la fantasia del narrare
prende spesso il sopravvento sull'intento satirico e Luciano si
diverte a descrivere situazioni, avventure, ambienti e abitanti
della Luna.
Il «sogno» della Luna ha comunque
alimentato, dopo questo primo assaggio, una produzione narrativa
addirittura imponente. Ci limitiamo qui a ricordare i più importanti
precursori dell'avventura tecnologica di quarant’anni fa.
Il paladino Astolfo, nell'Orlando
furioso di Ludovico Ariosto, pubblicato fra il 1515 e il 1532,
va sulla Luna con il Carro di Elia per recuperare il senno che
Orlando ha perduto per l'amore della bella Angelica (fig. 4).

Fig. 4.
Incisione di Gustav Dorè che rappresenta il viaggio di Astolfo sulla
Luna nell'Orlando Furioso.
Nel suo
Somnium
Johannes Kepler immagina di leggere, in sogno, la storia del figlio
di una strega (ricordiamo che la madre di Kepler fu accusata di
stregoneria) che arriva sulla Luna per mezzo di arti magiche. Questo
racconto, che probabilmente il grande astronomo aveva scritto
soltanto per sé (fu infatti pubblicato postumo nel 1634),
costituisce forse il primo esempio di scienziato che si dedichi alla
fantascienza.
Nel Seicento c'è in effetti una vera
esplosione di opere che hanno come soggetto una spedizione lunare.
Nel 1635 il vescovo Wilkins immagina un viaggio compiuto a bordo di
un carro trainato da una forza misteriosa; nel 1638 Francis Godwin
racconta le avventure di un personaggio spagnolo che si fa portare
sulla Luna appeso ad uno stormo di cigni appartenenti a una razza
che periodicamente migra sul nostro satellite! Come si vede, i mezzi
impiegati nei viaggi non hanno ancora una pretesa di scientificità.
Di lì a poco, però, il celebre e nasuto
spadaccino Cyrano da Bergerac userà per primo, sia pure nella
finzione letteraria, il mezzo di propulsione che verrà impiegato tre
secoli più tardi per le esplorazioni spaziali: il razzo. L'opera a
cui ci riferiamo è L'autre
monde, scritta nel 1649 e la
cui prima parte fu pubblicata postuma nel 1657 con il titolo
Histoire comique des états et
empire de la Lune. In tutte
queste opere la Luna è descritta come provvista di atmosfera e
abitata da tutta una serie di animali più o meno strani e variamente
simili agli umani. Questo, nonostante già nel 1609 Galilei avesse
inaugurato l'indagine scientifica del satellite per mezzo del
telescopio e questa fosse andata precisandosi sempre meglio nel
corso del XVII secolo. Evidentemente, gli autori non ammettevano
confini alla loro ingegnosità e creatività. Un esempio eclatante di
quanto appena detto può essere rappresentato dalle gesta del Barone
di Münchhausen, narrate per la prima volta da Rudolf Erich Raspe nel
suo Singular travels,
campaigns and adventures of Baron Münchhausen
(1785). Il Barone, per raggiungere la Luna, si serve in un caso del
medesimo espediente utilizzato da Luciano, una tromba marina, e
nell'altro (fig. 5) di una pianta di fagiolo cresciuta a dismisura!
Mezzi assolutamente in sintonia con lo spirito burlesco e fanfarone
che anima le avventure di questo grottesco eroe.

Fig. 5.
Il Barone di Münchausen utilizza una pianta di fagiolo per
raggiungere la Luna! (da
www.elmorsa.pe/feed/).
Ma due anni prima dell'uscita del libro
di Raspe, l'uomo aveva coronato almeno in parte il sogno, con il
pallone dei fratelli Montgolfier. Un mezzo che tuttavia,
evidentemente, non poteva rappresentare la soluzione per il viaggio
lunare. Eppure costituì la scelta adottata da Edgar Allan Poe nel
1835 nel suo racconto The
unparalleled adventure of one Hans Pfaal,
dove il protagonista si reca sulla Luna proprio a bordo di un
pallone aerostatico.
Un anno dopo, nel 1835, scoppia la più
grossa bufala scientifica di tutti i tempi, che ha come soggetto
proprio la Luna (fig. 6). Il quotidiano
New York Sun pubblica dal 25 al
31 agosto sei deliranti articoli in cui si riferisce come
l'astronomo John Herschel (effettivamente in Sud Africa con due
degli strumenti del padre per catalogare il cielo australe),
osservando con un gigantesco telescopio da Città del Capo la
superficie lunare, avesse goduto la visione di splendidi paesaggi
pieni di verde e di vita, abitati da animali come bisonti, gazzelle
e naturalmente veri e propri seleniti, strane creature volanti con
ali di pipistrello. L'opera si intratteneva anche sulle varie razze
presenti e sugli usi e costumi degli abitanti del satellite. Era
insomma una specie di riassunto e di campionario delle
fantasticherie e delle invenzioni presenti nelle opere citate
finora. Ci credettero quasi tutti, nonostante le smentite dei più
importanti astronomi dell'epoca, tra cui Arago e lo stesso Herschel.
Il clamore suscitato fu enorme.

Fig. 6.
Un’illustrazione degli strani abitanti della Luna che Herschel
avrebbe osservato nel 1835 (da
L’Astronomia).
Una dimensione più strettamente
scientifica fu conquistata nel 1865, quando Jules Verne pubblicò
De la Terre à la Lune.
Nonostante alcune ingenuità, come il mezzo di locomozione usato (un
proiettile sparato da un cannone, fig. 7) e alcuni errori di
meccanica celeste, l'opera di Verne brilla soprattutto per la
minuziosa e «scientifica» descrizione della superficie lunare da
parte dei tre estasiati viaggiatori a bordo del proiettile «Columbiad»,
senza concessioni al sensazionale o al non verosimile. Alcune altre
trovate lungimiranti dell'opera verniana (la partenza da un punto
vicinissimo a Cape Canaveral, il ritorno sulla Terra con la tecnica
di ammaraggio, ecc.), hanno contribuito a farne la più legittima
antesignana della missione dell'Apollo
11.

Fig. 7.
Il decollo del proiettile di Verne, sparato verso la Luna mediante
la deflagrazione di 180 tonnellate di fulmicotone (da en.wikipedia).
Un passo indietro fu sicuramente quello
compiuto invece da H. G. Wells che, pubblicando nel 1901 il suo
The first men in the moon,
inventò una estemporanea soluzione per portare i protagonisti sulla
Luna e immaginò il satellite popolato da una moltitudine improbabile
di strani esseri.
Finalmente, dagli anni '40 in poi,
appaiono i libri e i racconti che costituiscono una vera
anticipazione dell'impresa americana, sfruttando la tecnica
missilistica ormai messa a profitto dagli esperimenti e dalle teorie
di Ziolkovskij, Godard, Oberth, von Braun. La fantascienza ora
viaggia quasi a braccetto dell'escalation tecnologica, anticipandola
solo di pochissimi anni.
Fra le opere principali di quest'ultimo
periodo di «finzione», prima della grande realtà, possiamo citare
The man who sold the moon
dello scrittore americano Robert A. Heinlein (1949), nella quale la
descrizione della partenza dell'astronave si avvicina moltissimo
alla realtà storica, e
Prelude to space dell'inglese
Arthur C. Clarke. In quest'ultimo romanzo, scritto nel 1947 e
pubblicato nel 1953, la preparazione e la realizzazione del primo
viaggio sulla Luna approssimano in modo eccezionale quanto poi
realmente avvenuto.
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Ma la realtà supera spesso il sogno.
Molti scrittori di fantascienza, soprattutto gli ultimi citati,
hanno avuto un ruolo spesso importante nel promuovere svolte
scientifiche o nel superare ostacoli difficili. L'impresa dell'Apollo,
però, si colloca in una dimensione difficilmente immaginabile a
priori. Tutti coloro che in quella magica notte di quarant’anni fa,
in una diretta televisiva senza precedenti, durata 30 ore,
assistettero alle ultime fasi dello sbarco lunare, molto
probabilmente si saranno chiesti dove finiva la fantasia e
cominciava la realtà.
Breve cronaca del più
grande viaggio dell’uomo
L’Apollo
11 partì (fig. 8), con due
ore e tre quarti di ritardo, da Cape Kennedy, in Florida, alle ore
9:32 del mattino del 16 luglio 1969, in mezzo a una luce tale da far
male agli occhi e a un rumore assordante, fatto di schianti
infernali in successione. I colpi facevano vibrare le tettoie degli
spalti degli spettatori, poste a 5 km, e facevano svolazzare i loro
abiti. Alla partenza il cuore degli astronauti, Neil Armstrong,
Edwin Aldrin e Michael Collins (fig. 9) tradivano una tensione
davvero minima: rispettivamente 110, 99 e 88 pulsazioni al minuto.

Fig. 8.
La partenza dell’Apollo 11
da Cape Kennedy, in Florida
(cortesia NASA).

Fig. 9.
L’equipaggio dell’Apollo 11:
da sinistra Armstrong, Collins e Aldrin (cortesia NASA).
Dopo 2 ore e tre quarti dal lancio e
un’orbita e mezza attorno alla Terra l’astronave si diresse verso la
Luna, attorno alla quale entrò in orbita tre giorni dopo, a 110 km
di quota. Dopo la tredicesima orbita il
LEM Eagle
si sganciò dal modulo di comando
Columbia
(lo stesso nome del proiettile di Verne, una coincidenza?) e iniziò
la discesa verso la Luna (fig. 10). L’avvicinamento alla superficie
lunare avvenne ancora in configurazione orbitale fino a 16 km di
altezza. Da quel momento
Eagle cominciò a capovolgersi
lentamente, raddrizzandosi, e iniziò ad avvicinarsi al suolo in
caduta libera controllata, azionando di tanto in tanto il motore per
la discesa. A 10 km dalla superficie si accese un segnale d’allarme
con il numero 1201, assolutamente non compreso fra quelli a cui gli
astronauti erano stati addestrati a reagire. Questa spia si accese
altre quattro volte e ogni volta da terra si decise di ridare il via
alla missione, ignorando la segnalazione.

Fig. 10. Il modulo lunare Eagle
fotografato dal modulo di comando
Columbia
(cortesia NASA).
A 900 metri di altitudine Armstrong,
guardando fuori dell’oblò, non vide quello che si aspettava, ovvero
un terreno piatto su cui atterrare, bensì un cratere grande quanto
un campo da calcio tutto disseminato di rocce e grosse pietre. C’era
infatti stato un errore di rotta che aveva portato il
LEM
6,5 km oltre il punto prescelto per la
discesa, su un terreno troppo accidentato, che avrebbe facilmente
potuto far ribaltare il veicolo.
La missione rischiava a quel punto di
fallire. Gli allarmi continuarono ad accendersi un’altra mezza
dozzina di volte e questa volta fu Armstrong che scelse
deliberatamente di ignorarli. Lui, che era il comandante del modulo,
decise di escludere parzialmente il pilota automatico, che
continuava a controllare solo la velocità di discesa, gestendo
manualmente le leve di comando dell’assetto dell’inclinazione e
della spinta orizzontale. Con l’aiuto di Aldrin, che leggeva sul
quadro i dati dell’altimetria e dei parametri di spostamento, guidò
letteralmente il modulo come fosse un’Aquila che doveva piombare
sulla preda, in cerca di un sito più pianeggiante.
Evitando il cratere accidentato,
Armstrong intravide vari luoghi adatti, ma li scartò quando si
avvicinò di più. A Houston avevano il fiato sospeso, perché ormai il
carburante era agli sgoccioli e si avvicinava il momento in cui la
missione doveva essere fatalmente dichiarata abortita e il
LEM
risalire in orbita lunare.
Eagle, dopo 12,5 minuti di
discesa, riuscì finalmente a toccare terra quando mancavano solo 25
secondi all’esaurimento del carburante. Erano le 16:17 ora della
Florida del 20 luglio. Dopo un periodo di riposo, alle 22:39, il
portello della nave si aprì e Armstrong fece la sua comparsa sul
terrazzino dell’Eagle.
Ci impiegò un po’ a prendere confidenza con l’ambiente e con il tipo
di movimenti che doveva fare in quel regime di bassa gravità ma
infine, alle 22:51, iniziò a scendere dalla scaletta, ripreso dalla
telecamera montata esternamente al modulo. Impiegò ben cinque minuti
a calarsi e finalmente, alle 22:56, il primo storico passo sulla
Luna.
Si mise a fare fotografie tutt’intorno,
come un bambino, dimentico del protocollo, che richiedeva di
raccogliere per prima cosa campioni di rocce, nel caso fosse stato
necessario rientrare in tutta fretta nel modulo. Richiamato
all’ordine, rispose, abbastanza seccato, che gli lasciassero finire
il rotolo!
Dopo pochi minuti fu la volta di Aldrin
(fig. 11). I due rimasero sulla Luna solo due ore e 37 minuti,
facendo fotografie, raccogliendo rocce, issando la bandiera,
installando un sismometro, un riflettore laser per misurare la
distanza Terra-Luna, uno strumento misuratore del vento
solare. Aldrin fu il primo a rientrare, e sembrò che gli dispiacesse
molto.
Fig. 11. Edwin Aldrin ripreso sulla Luna da Armstrong: impressionante
la scena riflessa sul casco, con il
LEM
e Neil (cortesia NASA).
Agli astronauti furono poi concesse
diverse ore di sonno, durante le quali però Armstrong, probabilmente
preoccupato dall’eventualità che il motore di ascesa potesse non
accendersi, non riuscì praticamente a chiudere occhio. Alle 13:54
del 21 luglio i due poterono ripartire e congiungersi in orbita a
Collins che li stava aspettando. Tre giorni dopo, alle 12:51,
l’ammaraggio nel Pacifico che decretava la completa riuscita della
prima missione umana lunare.
Le motivazioni del viaggio sulla Luna
A vent'anni di distanza quasi tutta la
retorica, il trionfalismo e lo spirito sciovinista che
accompagnarono, da parte americana ma non solo lo sbarco
dell'«Aquila», sono ormai superati e valutabili in tutta la loro
mediocrità. All'eterna domanda: «Perché l'uomo va sulla Luna?» si
volle dare una risposta prevalentemente falsa e ideologica, mettendo
l'accento sull'utilità scentifica della missione e sulla sua
ricaduta tecnologica. Ma la ricaduta tecnologica, per quanto
copiosa, e relativa del resto non solo alle missioni lunari ma
all'attività spaziale in senso lato, non poté certo costituire la
causa o la motivazione dell'impresa lunare, essendone invece una
mera conseguenza, quasi un sottoprodotto inevitabile ma non certo
essenziale. Quanto all'utilità scentifica, è legittimo fare una
proporzione fra costi e ricavi, pensando che il progetto Apollo è
costato non meno di 24 miliardi di dollari. È certo che quasi gli
stessi, innegabili, risultati scentifici si sarebbero potuti
conseguire spendendo assai meno con delle missioni completamente
automatiche.
Ma la realtà era ben diversa, com'è oggi
del tutto evidente. Andare sulla Luna, per la potenza americana,
costituiva soprattutto una prova di forza per il prestigio e
l'immagine politica e militare della nazione, soprattutto nei
confronti dell'URSS, l’avversario ormai storico. La stessa gara
spaziale fra russi e americani, non dimentichiamolo, nacque e
continuò a lungo come confronto soprattutto militare.
D'altra parte, possiamo essere felici
che sia andata così, negli anni della guerra fredda, ovvero che una
parte dell’aggressività militare e del delirio del
first strike
delle due superpotenze si sia risolto in una tenzone tecnologica a
colpi di sonde, navette e basi spaziali. Tanto più che l'intero,
enorme costo di un'impresa come l'Apollo
non equivale che a quello di pochi mesi di una guerra locale come
quelle combattute in tanti luoghi del mondo da russi e americani.
Per fortuna, negli ultimi tempi, la
corsa allo spazio ha assunto aspetti meno aggressivi e si stanno
avendo sempre più proposte lungimiranti di piena collaborazione e
cooperazione. Nasce pertanto la speranza che lo spazio possa essere
sempre più luogo di scambio e pacifico confronto di culture e
tecnologie, per tutta quell'umanità nel nome della quale gli uomini
dell'Apollo 11
hanno lasciato la loro targa ricordo nel
Mare della Tranquillità. Per tutta quell'umanità per cui,
semplicemente, il viaggio sulla Luna è stato compiuto per rispondere
a un bisogno di avventura e di esplorazione tipico della civiltà
umana; per raccogliere la sfida lanciata dal semplice fatto che la
Luna è lì, da sempre; per realizzare, infine, quell'antichissimo
sogno, coltivato fin dall'alba dei tempi.
Nota bibliografica
Per le rappresentazioni del mito lunare
nell'antichità si possono consultare: Marcello Craveri, «La doppia
Luna»,
L'astronomia,
n. 55, 1986 e Robert Graves,
I miti greci,
Longanesi, Milano, 1983.
Per i disegni di Leonardo:
Gibson Reaves e Carlo Pedretti, «Leonardo Da Vinci’s drawings of the
surface features of the Moon»,
Journal for the history of
astronomy,
18,
55-58, 1987.
Per le misurazioni della distanza della
Luna nell'antichità, cfr.: Sir Thomas Heath,
Aristarchus of Samos the ancient
Copernicus, Dover, New York,
1981 e J.L.E. Dreyer,
Storia dell'astronomia da Talete a
Keplero, Feltrinelli, Milano,
1970.
Gran parte dei racconti e romanzi citati
nell'articolo sono raccolti nella stupenda antologia pubblicata nel
decennale dello sbarco lunare:
Mille e una Luna
a cura di Paola Francioli e Lia Volpati, Mondadori, Milano, 1979.
Per quelli qui non contenuti, sono disponibili le traduzioni delle
opere originali. Ad esempio: Jules Verne,
Dalla Terra alla Luna-Intorno alla Luna,
Mursia, Milano, 1964; H.G. Wells,
I primi uomini sulla Luna,
Mursia, Milano, 1968; Arthur C. Clarke,
Preludio allo spazio,
Mondadori, Milano, 1978.
Le seguenti opere sono disponibili in
italiano anche on line:
Dalla Terra alla Luna:
http://it.wikisource.org/wiki/Dalla_Terra_alla_Luna
Opere di Luciano di Samosata:
http://www.liberliber.it/biblioteca/l/lucianus/index.htm
Orlando Furioso: molti siti, fra cui:
http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_4/t325.pdf
Riferimenti e resoconti sullo «pseudo-Herschel»
e sulla grande beffa del 1835 si possono trovare in un articolo del
compianto Mario Cavedon, «Fantascienza ieri e oggi»,
L'astronomia,
n. 2, 1980. Il testo degli articoli (solo però in inglese) si può
trovare anche on line al seguente indirizzo:
http://www.museumofhoaxes.com/moonhoax.html
Infine, storie, cronache e resoconti
delle varie tappe della corsa alla Luna si possono trovare in: H.
Young, B. Silcock, P. Dunn,
Il prezzo della Luna,
Garzanti, Milano, 1970 e in: Piero Bianucci,
La Luna,
Giunti, Firenze, 1988. |